Università aperta vuol dire un sistema dotato delle risorse necessarie a svolgere al meglio il proprio ruolo.
La prima obiezione fatta quando si parla di superare il numero chiuso è che non ci sono le risorse necessarie ad accogliere tutti. Il problema vero, invece, è che il nostro Paese da anni non finanzia più in modo adeguato il sistema universitario.
Il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) nel 2008 ammontava a 7,5 miliardi. Nel 2017 ammonta a 6,9 miliardi di euro. Il dato ancora più grave è che la quota “base”, ovvero quella distribuita secondo dei criteri di fabbisogno, quest’anno sia arrivata a rappresentare solamente il 69% del totale, mentre il 23% è ripartito su criteri di premialità. Il taglio imponente messo in atto dal combinato disposto Tremonti-Gelmini tra il 2008 e il 2010 è ben visibile anche guardando i dati complessivi. Questi tagli, tuttavia, risultano essere letali nel lungo periodo per i criteri di distribuzione del finanziamento messi in campo: la cosiddetta “premialità”, in realtà, sottende una forte logica punitiva verso gli atenei in difficoltà, che ha acuito le disuguaglianze tra Nord, Centro e Sud e tra piccoli, medi e grandi atenei.
È inaccettabile che l’università italiana sia continuamente impegnata in una lotta per la sopravvivenza: è necessario invertire la logica punitiva, reinvestire consistentemente nel FFO, in particolare sulla quota base, per tornare a un finanziamento pari almeno a quello del 2008. È necessario, inoltre, ripensare radicalmente i criteri di riparto dei finanziamenti, al fine di superare le disuguaglianze che si sono acuite negli ultimi anni, per superare la continua competizione tra gli atenei per l’ottenimento delle poche risorse disponibili e poter seriamente garantire agli atenei il fabbisogno di finanziamento per strutture, didattica, reclutamento.
Solamente in un sistema finanziato adeguatamente e con meccanismi che possano incentivare la cooperazione al posto della competizione sarà possibile avere un’università in grado di essere inclusiva.