Nicolai Lilin a processo: le minacce all’inviata Rai Stefania Battistini e il mistero del polonio nel tè

Nicolai Lilin a processo: le minacce all'inviata Rai Stefania Battistini e il mistero del polonio nel tè

Nicolai Lilin a processo: le minacce all'inviata Rai Stefania Battistini e il mistero del polonio nel tè

Matteo Rigamonti

Ottobre 17, 2025

Nicolai Lilin, scrittore moldavo noto per il suo best seller “Educazione siberiana”, si trova al centro di un caso giudiziario che ha attirato l’attenzione dei media italiani e internazionali. Il tribunale di Milano ha deciso di mandarlo a processo per aver minacciato l’inviata Rai Stefania Battistini e il suo operatore Simone Traini. Le dichiarazioni di Lilin, pubblicate sul suo canale YouTube tra il 16 e il 20 agosto 2024, hanno suscitato polemiche e preoccupazioni.

Le minacce inquietanti di Lilin

Durante un video, Lilin ha lanciato frasi inquietanti come: «Se un giorno vi troverete un po’ di polonio nel tè, sappiate che vi siete scavati la fossa da soli». Queste parole, rivolte ai giornalisti Rai, sono state interpretate come una chiara minaccia, specialmente in un contesto in cui il polonio è storicamente associato a omicidi politici e avvelenamenti, come nel caso di Alexander Litvinenko, ex agente dei servizi segreti russi, avvelenato a Londra nel 2006.

Il contesto della guerra in Ucraina

Il contesto di queste affermazioni affonda le radici nella guerra in Ucraina, dove Battistini e Traini si trovavano il 14 agosto 2024 per documentare un’incursione delle forze ucraine in territorio russo. Questo reportage ha scatenato la reazione di Lilin, che ha denunciato il lavoro dei due giornalisti come «schifoso» e un esempio di «propaganda filonazista». Le sue affermazioni si inseriscono in una narrazione più ampia, in cui la guerra in Ucraina ha acceso tensioni non solo sul campo di battaglia, ma anche nel panorama mediatico internazionale.

La reazione della giustizia

Il tribunale di Milano ha preso in considerazione anche altre affermazioni di Lilin, in particolare quelle sui servizi segreti militari russi, conosciuti come Gru. «State certi che in 2, 3, 5 anni comunque vi troveranno», ha avvertito lo scrittore, aggiungendo che i segreti dei servizi russi sono noti per essere spietati. Questa retorica ha sollevato preoccupazioni non solo per la sicurezza dei giornalisti, che attualmente sono sotto scorta, ma anche per il clima di intimidazione che si sta diffondendo nei confronti di chi cerca di fare reportage in zone di conflitto.

La decisione di mandare Lilin a processo è stata accolta con favore dalla pubblica accusa, rappresentata dalla pm Francesca Crupi, la quale ha sottolineato la gravità delle minacce. D’altro canto, l’avvocato di Lilin, Eleonora Piraino, ha espresso fiducia nella giustizia italiana, sostenendo che il suo assistito non intendeva realmente minacciare i giornalisti, ma piuttosto esprimere un’opinione forte e polemica riguardo alla loro attività.

Un caso emblematico per la libertà di stampa

Il caso Lilin si inserisce in un panorama più ampio in cui la libertà di stampa è sotto attacco. Giornalisti che operano in contesti di conflitto, come quello ucraino, affrontano quotidianamente minacce, intimidazioni e persino aggressioni fisiche. La questione della sicurezza dei reporter è diventata una priorità per molte organizzazioni internazionali, che chiedono maggiore protezione per coloro che si trovano in prima linea nel raccontare le verità scomode dei conflitti.

In questo contesto, il processo contro Lilin potrebbe rappresentare un precedente importante per il futuro della libertà di espressione in Italia e per la protezione dei giornalisti. Le tensioni tra narrazioni diverse e gli attacchi personali a chi cerca di fare il proprio lavoro in situazioni di crisi fanno emergere interrogativi fondamentali sul ruolo dei media e sulla responsabilità di chi comunica. Mentre il processo avanza, gli occhi attenti si concentrano non solo sulla figura di Lilin, ma anche sulle conseguenze più ampie delle sue parole e delle sue minacce.