Università aperta vuol dire ricostruire l’accademia.

accademiaLa didattica parte da chi insegna, per questo un’università aperta deve avere come presupposto fondamentale delle adeguate risorse umane. Ad oggi, invece, la situazione è drammatica.

Il personale a tempo indeterminato in università, dal 2008 a oggi è diminuito del 22%: quasi 14.000 docenti in meno. Trend diametralmente opposto è quello delle figure precarie, giunte a circa 40.000 unità.

Lo scientifico disegno di distruzione e chiusura dell’università è palese mettendo in correlazione la diminuzione del personale universitario con quella degli iscritti: un’università senza fondi, senza strutture, con poco personale, senza alcuna prospettiva delineata per il futuro, non può che portare verso una sua chiusura.

Il necessario superamento del precariato universitario non può che passare principalmente da due punti: in primis un programma di reclutamento pluriennale in grado di includere gli attuali precari in modo stabile all’interno del corpo accademico dell’università, oltre a una necessaria una riforma di quello che può essere definito “pre-ruolo” al fine di evitare il proliferare continuo di rapporti di lavoro precari all’interno dell’università. Significativa è anche la condizione dei dottorandi: oltre all’esistenza prolungata dei dottorandi senza borsa, chi percepisce la borsa si trova a dover pagare delle tasse molto alte, pur percependo delle borse dagli importi molto limitati.

Nelle università in cui studiamo è necessario non solo sbloccare il turn-over del personale, ma anche ampliarlo procedendo a recuperare le risorse perse  negli anni per poter iniziare la rincorsa della proporzione europea tra studenti e docenti. “Education at a glance 2017” ci pone quartultima nella classifica del rapporto studenti/docenti: 20 a 1 per l’Italia a fronte di una media OCSE di 15 a 1. In uno scenario di lotta per la sopravvivenza, il sottofinanziamento e i tagli dei docenti pesano, ovviamente, anche sulla qualità dell’insegnamento e sul lavoro ordinario del personale, molte volte più impegnato a svolgere lavoro obbligatorio per la VQR e le altre pratiche per poter svolgere il proprio lavoro, piuttosto che “semplicemente” far ricerca e didattica. In prospettiva, riteniamo essenziale anche l’abbattimento del maggior numero di suddivisioni del corpo accademico docente e ricercatore: a trarne beneficio sarebbe l’intero meccanismo di reclutamento e progressione di carriera, oltre a tutti i meccanismi democratici interni all’università. Per invertire seriamente la rotta è necessario, quindi, investire nel personale universitario: più risorse per il dottorato, più ricercatori, più professori, tutti più stabili.

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