Università aperta vuol dire che lo Stato rende effettivo il diritto allo studio, così come sancito dalla Costituzione.

DIRITTO ALLO STUDIOCosì oggi non è. Oltre alle barriere formali della selezione all’accesso, a limitare il numero di studenti è anche e soprattutto la difficoltà economica nel sostenere un percorso di studio lungo e che prevede moltissime spese. Dopo il crollo, nell’anno accademico 2015/2016, degli idonei alla borsa di studio del 24%, dovuto all’introduzione del nuovo ISEE , quest’anno la percentuale di idonei non beneficiari di borsa di studio tornerà a salire. L’innalzamento delle soglie ISEE nella maggior parte delle regioni, come da noi fortemente richiesto, è stato accompagnato da finanziamenti insufficienti a coprire il reale fabbisogno delle borse di studio. Oltre a questi elementi, ne esistono altri più difficilmente quantificabili, ma ben tangibili  nella vita materiale degli studenti: i costi per il materiale didattico da acquistare per i vari corsi di studio e, ancor più grave, la disomogeneità dei livelli di offerta dei servizi per il diritto allo studio tra le aree del Paese e, spesso, anche all’interno delle medesime regioni.

A questa situazione si somma il fatto che in Italia si pagano le terze tasse più alte d’Europa: nell’anno accademico 2015/2016 la tassazione media italiana ha sforato la barriera dei 1200 euro all’anno (contro una media francese inferiore ai 300 euro e la gratuità, ormai prevista in quasi tutti i Lander della Germania).

Negli ultimi mesi abbiamo purtroppo constatato che la discussione molte volte verta solo sul basso numero dei laureati in Italia, riconducendo il fatto ad una fumosa responsabilità diffusa, senza però che il discorso sia ampliato ad un’analisi sul numero degli iscritti, che negli ultimi 8 anni sono quasi 250 mila in meno nelle università statali.

Nell’anno accademico nel 2002/2003 il 72% degli studenti che avevano conseguito la maturità si iscriveva all’università. Nel 2015/2016 solamente 1 su 2. È evidente come gli studenti provenienti dalle fasce più povere della popolazione, via via, non intraprendano un percorso di studi universitario per i costi sempre più alti che questo comporta. Le soluzioni sono davanti agli occhi di tutti e noi le indichiamo da anni: è necessario incrementare il Fondo Integrativo Statale per le borse di studio, partendo da un investimento di 150 milioni. Questo comporterebbe per Legge anche l’aumento delle risorse che le regioni sono tenute a stanziare, essendo obbligate a impiegare risorse proprie pari ad almeno il 40% di quanto ricevuto dallo Stato. Così si eliminerebbe finalmente la figura dell’idoneo non beneficiario. Questo sarebbe un primo passo indispensabile, considerando che l’Italia ha una platea di idonei che oscilla, di anno in anno, tra il 9% e l’11% della popolazione complessiva degli iscritti. Il confronto con i Paesi con un sistema simile al nostro è impietoso: in Francia 1 studente su 3 percepisce una borsa di studio e in Germania 1 su 4.

La contribuzione studentesca, invece, si sta rivelando la stampella su cui si regge il finanziamento dell’università italiana: negli ultimi 8 anni, pur diminuendo gli iscritti, il gettito complessivo della contribuzione negli atenei statali è aumentato di oltre 200 milioni di euro e costituisce oramai una voce consistente su cui si basano i bilanci delle nostre università.

Noi invece crediamo che l’università debba essere gratuita.

In una società in cui l’istruzione terziaria dovrà essere il più possibile accessibile a tutti per poter fornire gli strumenti di comprensione della complessità sociale, è impensabile che possano esserci ostacoli di carattere economico per  l’accesso ai più alti gradi di istruzione: bisogna investire ulteriormente nella no-tax area introdotta nella scorsa legge di bilancio, porre un limite alla contribuzione degli studenti che non vi rientrano (considerato l’aumento vertiginoso subito in alcuni atenei), e rendere effettivamente progressiva, oltre che più bassa, la contribuzione. Le prime risorse per fare tutto questo si possono reperire facilmente convertendo i fondi per le superborse di studio (del valore di 15 mila euro, introdotte lo scorso anno per studenti ritenuti particolarmente meritevoli e non ancora attuate) e iniziando a stanziare il 3% dei fondi confiscati alla mafia nel FIS, come stabilito nel 2014 e mai avvenuto.

Bisogna inoltre tornare ad investire in quegli elementi, completamente dimenticati negli ultimi anni, essenziali del diritto allo studio come la residenzialità e le mense universitarie: è sempre più palese la necessità di rivedere la Legge 338/2000 per l’edilizia residenziale universitaria, anche rifinanziandola consistentemente. È necessario prevedere  un piano straordinario per la ristrutturazione e riqualificazione delle residenze esistenti e di immobili pubblici in disuso per aumentare i posti letto su tutto il territorio nazionale, con standard di qualità che ne permettano una piena e sicura vivibilità.

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