Università aperta vuol dire un sistema a cui poter accedere senza selezione.

numero chiusoNel 1999, la legge 264 ha introdotto  un sistema di programmazione dell’accesso tanto a livello nazionale per determinati i corsi di studio (Medicina, Odontoiatria, Medicina Veterinaria, IMAT e Architettura),  quanto a livello locale, a condizione che siano rispettati alcuni parametri. Da quel momento è iniziata la nostra battaglia per rivedere questo sistema e ripristinare il libero accesso.

L’UDU ha condotto questa battaglia sul piano politico, sindacale e legale al fine di mettere in luce non soltanto la contrarietà al principio della programmazione all’accesso, ma anche le innumerevoli distorsioni dell’attuale modello. Questo sistema è innanzitutto sbagliato per i criteri alla propria base, visto che  tiene conto unicamente del fabbisogno di determinate professionalità nel mercato del lavoro in un dato momento, senza considerare alcuna variabile che può intervenire durante i percorsi di studi.

Il test stesso si è prestato a moltissime irregolarità ed illeciti, dimostrando come non fosse affatto uno strumento in grado di selezionare un presunto merito. Abbiamo di  volta in volta  agito contro le irregolarità, riportando importanti vittorie giudiziarie che hanno consentito nel corso degli anni a migliaia di studenti di iscriversi alla facoltà scelta per il proprio futuro. Grazie a questi risultati in sede legale, abbiamo ottenuto parziali aperture da parte dei Ministri che si sono succeduti e che si sono detti disponibili ad aprire un tavolo di confronto sul tema. Peccato che tali promesse siano state disattese.

Il caso della facoltà di studi umanistici della  Statale di Milano è un caso non soltanto recente ma anche significativo: grazie all’impugnazione del bando, il test non si è svolto e tutti gli studenti si sono potuti immatricolare nel corso scelto. E le motivazioni fornite dal TAR Lazio ci hanno permesso di avviare un’azione congiunta negli atenei italiani, e di far partire un #effettodomino con vittorie in molte Università italiane.

Le nostre ultime azioni sono riuscite a riportare l’università al centro del dibattito pubblico. Finalmente è emerso come il numero chiuso sia soltanto la manifestazione più palese di un sistema universitario sottofinanziato, carente di strutture, di docenti, sprovvisto di un sistema di diritto allo studio funzionante. Ripartire dal rifinanziamento è il primo passo per smontare il numero chiuso ed abbattere l’idea che vede la selezione all’accesso come unica soluzione alle carenze strutturali dell’università italiana.  

Un’università aperta è possibile e si costruisce fin da prima del suo inizio. È necessario costruire un serio programma di attività di orientamento verso l’università, per frenare abbandoni e rallentamenti negli studi. È necessario aumentare e migliorare le strutture universitarie; più posti per seguire le lezioni, più aule studio, più laboratori, più biblioteche. È necessario investire nel diritto allo studio, così che tutti, indipendentemente dalle proprie condizioni di partenza, abbiano la possibilità di accedere e portare a termine il percorso scelto. È necessario aumentare il numero di docenti, oggi troppo pochi e precari. È necessario rivedere i criteri di finanziamento, affinché questi siano capaci di garantire un livello minimo di qualità in tutto il territorio nazionale.

È necessario poi rivedere l’intera normativa sull’accesso. Va superata la legge 264/1999, partendo dall’abrogazione immediata del comma 2, relativo ai corsi ad accesso programmato locale: questo modello non è più praticabile, specie alla luce della costante diminuzione degli iscritti nelle università italiane e considerati i ripetuti esiti dei nostri ricorsi.

Va poi superata la normativa relativa all’accreditamento dei corsi di studio, la cosiddetta AVA 2.0, che nell’introdurre determinati criteri necessari all’accreditamento dei corsi, ha portato al proliferare dei numeri programmati locali. Siamo stati i primi a chiederne l’immediato ritiro, e ora questo decreto è stato attaccato anche dalla giustizia amministrativa. Sicuramente il caso di Medicina è quello più emblematico, considerato il grande squilibrio da iscritti al test e posti disponibili, ma esistono dei corsi in cui il numero dei candidati è di poco superiore a quello degli ammessi, e per i quali è subito possibile reintrodurre l’accesso libero.

Nel resto dei casi, crediamo che il primo passaggio possa essere quello di smontare la logica stessa della programmazione, andando da una selezione tipica dei concorsi in cui viene fissato il massimo di posti disponibili, ad un modello più simile ad un esame. Per quanto riguarda Medicina, crediamo che, dopo un primo anno accessibile a tutti, possa essere fissata una soglia di punteggio o di CFU che lo studente deve aver acquisito.

>> UN NUOVO FINANZIAMENTO