Giudice denuncia il Csm per discriminazione di genere: la battaglia legale su una nomina controversa

Giudice denuncia il Csm per discriminazione di genere: la battaglia legale su una nomina controversa
La questione della disparità di genere all’interno della magistratura italiana è tornata al centro del dibattito pubblico, grazie al caso emblematico di Monica Velletti, giudice esperta in diritto di famiglia. Velletti ha deciso di portare il Consiglio Superiore della Magistratura (Csm) davanti al tribunale amministrativo regionale (Tar), accusandolo di discriminazione di genere. Al centro della controversia c’è la nomina per il prestigioso incarico di presidente del tribunale di Treviso, che ha acceso un acceso dibattito sui diritti delle donne nel mondo della giustizia.
La disparità nelle nomine
Secondo le statistiche presentate da Velletti nel suo ricorso, dal momento dell’insediamento del nuovo Csm nel 2023, sono stati assegnati 139 posti direttivi a uomini e solo 58 a donne, corrispondenti a una percentuale di appena il 29%. Questi dati evidenziano una realtà preoccupante: nonostante le donne rappresentino una parte considerevole del corpo giudiziario, le posizioni di potere rimangono prevalentemente appannaggio degli uomini.
Il caso specifico riguarda la nomina di Andrea Carli, che ha ricevuto l’incarico di presidente del tribunale di Treviso, a dispetto della candidatura di Velletti e di un’altra magistrata, Daniela Ronzani, entrambe con maggiore esperienza e titoli. La decisione, presa quasi all’unanimità con sole tre astensioni, ha suscitato reazioni e sollevato interrogativi su possibili favoritismi, specialmente considerando che Carli proviene da Biella, città del sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro Delle Vedove.
Le conseguenze della decisione del Csm
La situazione si è complicata ulteriormente quando il Csm, dopo aver ricevuto il ricorso, ha deciso di bloccare la nomina “in autotutela”. Questo passaggio evidenzia quanto sia delicata e problematica la situazione interna al Csm, un’istituzione che dovrebbe garantire imparzialità e giustizia ma che si trova ora sotto la lente di ingrandimento per le sue decisioni.
Monica Velletti, nel suo ricorso, cita un dato significativo: a marzo 2004, l’Italia contava 9.300 magistrati, di cui 5.229 donne e 4.071 uomini. Nonostante questa rappresentanza numerica, solo il 28,8% delle posizioni dirigenziali è occupato da donne. Le statistiche parlano chiaro: tre magistrati su quattro che ricoprono incarichi direttivi sono uomini, un squilibrio di genere che solleva preoccupazioni e critiche.
Un cambiamento necessario
La nomina di Margherita Cassano come prima presidente della Corte di Cassazione nel 2021 aveva fatto sperare in un cambiamento. Tuttavia, i dati attuali suggeriscono che le cose non sono cambiate in modo sostanziale. Velletti sottolinea nel suo ricorso che si è di fronte a “una sistematica violazione dell’articolo 2 del testo unico sulla dirigenza giudiziaria”, che stabilisce che il Csm deve rispettare le pari opportunità e promuovere l’equilibrio di genere nelle nomine.
Questa situazione si inserisce in un contesto più ampio di lotta per i diritti delle donne in Italia e nel mondo, dove le donne continuano a dover affrontare discriminazioni e ostacoli nel raggiungimento di posizioni di leadership. La magistratura, un settore che dovrebbe essere esemplare in termini di equità e giustizia, si trova ora a dover fare i conti con le proprie contraddizioni.
Conclusioni
Il caso di Monica Velletti rappresenta una battaglia non solo personale, ma anche un segnale di allerta per tutti coloro che si battono per un sistema giuridico più giusto e equo. La sua scelta di intraprendere un’azione legale contro il Csm è un atto di coraggio che potrebbe avviare un cambiamento significativo nel panorama della giustizia italiana, spingendo le istituzioni a riflettere seriamente sulle loro pratiche e sulla necessità di garantire pari opportunità a tutti, indipendentemente dal genere.
La questione rimane aperta e la sentenza del Tar potrebbe avere ripercussioni importanti non solo per Velletti e le sue colleghe, ma per l’intero sistema giudiziario italiano. Si attende con interesse l’evoluzione di questo caso, che rappresenta un crocevia cruciale nella lotta per la parità di genere nel settore giudiziario.