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Martina Oppelli e la sua battaglia contro la sclerosi multipla: il rifiuto del suicidio assistito e la sfida allo Stato laico

Martina Oppelli e la sua battaglia contro la sclerosi multipla: il rifiuto del suicidio assistito e la sfida allo Stato laico

Martina Oppelli e la sua battaglia contro la sclerosi multipla: il rifiuto del suicidio assistito e la sfida allo Stato laico

Martina Oppelli, un’architetta triestina di 50 anni, sta vivendo una battaglia personale che va ben oltre la sua condizione di salute. Da anni convive con la sclerosi multipla progressiva, una malattia che ha stravolto la sua vita. Recentemente, ha ricevuto il terzo rifiuto da parte dell’azienda sanitaria per l’accesso al suicidio assistito, una decisione che ha scatenato in lei una profonda disillusione nei confronti delle istituzioni e della loro capacità di comprendere la sofferenza umana.

In un’intervista al Corriere della Sera, Martina ha espresso la sua frustrazione con la frase «stanca, stanca, stanca», un sentiment che riflette la lotta di chi si sente ignorato da un sistema che non ascolta. Nonostante l’annuncio di una nuova procedura di valutazione da parte dell’azienda sanitaria, Martina guarda alla situazione con pessimismo: «Possiamo andare avanti in eterno, ma che battaglia stiamo combattendo?». La sua domanda rappresenta un grido di aiuto che evidenzia il limite della resistenza umana di fronte a una sofferenza cronica.

La sclerosi multipla e le sue conseguenze

La sclerosi multipla, in particolare nella sua forma progressiva, è una malattia devastante che provoca un progressivo deterioramento delle capacità motorie e cognitive. Martina ha iniziato a usare le stampelle nel 2006 e dal 2009 è costretta a muoversi su una sedia a rotelle. La sua vita quotidiana è caratterizzata da sfide enormi e da una lotta costante contro gli spasmi e la rigidità muscolare, che rendono ogni movimento una conquista. Gli spasmi, come lei stessa descrive, sono tra i sintomi più debilitanti della sua condizione, spesso così intensi da causare dolore e disagio insopportabili.

La ricerca di una soluzione

Martina ha considerato l’idea di recarsi in Svizzera per il suicidio assistito, un’opzione che rappresenta una via di fuga da una realtà che le appare insostenibile. «Devo confessare che stavolta speravo in un sì», ha affermato, evidenziando la sua disperazione e l’urgenza di trovare una soluzione. La sua determinazione è chiara: «Non cerco problemi, trovo soluzioni». Tuttavia, la sua speranza è intrisa di tristezza, consapevole che il tempo è un fattore cruciale nella sua vita.

Con l’arrivo dell’estate, ha condiviso la sua preoccupazione per il caldo intenso, che aggrava ulteriormente la sua condizione. «Il mio corpo non percepisce la differenza fra caldo e freddo», ha spiegato, sottolineando come le temperature elevate possano portarla a un crollo fisico e mentale. La lotta contro la malattia è complicata da condizioni ambientali che rendono la sua esistenza ancora più difficile.

Un appello alle istituzioni

Martina non si limita a esprimere il suo dolore personale, ma lancia un appello agli amministratori e ai politici, chiedendo di smettere di ignorare la realtà di chi, come lei, affronta una malattia terminale. «Smettetela di chiudere gli occhi e andare in vacanza», ha esclamato, esortando a considerare una legislazione che risponda alle esigenze di chi vive situazioni di sofferenza estrema. La sua richiesta è chiara: è necessario un approccio serio e umano al tema del fine vita. «Voglio una legge che tenga conto di ogni aspetto e sofferenza», ha affermato, evidenziando la necessità di un dialogo aperto e costruttivo su queste questioni.

Martina ha anche criticato coloro che propongono le cure palliative come unica soluzione. Per lei, queste non sempre rappresentano una risposta adeguata e invita chi le sostiene a mostrare concretamente come funzionano e quali benefici possono realmente apportare. «Abbiate il coraggio di mostrare in cosa consistono e se curano veramente…», ha detto, sottolineando l’importanza di una discussione onesta e informata su un tema così delicato.

La sua vita è una continua lotta contro la rigidità e il dolore, un’esistenza segnata da una stanchezza profonda e da un grande sconforto. «Io sono come una bambola», ha dichiarato, descrivendo la sua condizione fisica e il desiderio di mantenere un’apparenza dignitosa, nonostante la sofferenza interiore. La storia di Martina è un potente richiamo alla coscienza collettiva, un invito a considerare il valore della vita e il diritto di ognuno di decidere del proprio destino, soprattutto quando si affronta una malattia incurabile.