Riaperto il mistero della morte di Manuela Murgia: 80 giorni per scoprire la verità attraverso il DNA

Matteo Rigamonti

Luglio 10, 2025

Il 5 febbraio 1995 è una data che ha segnato per sempre la vita della famiglia Murgia. Quel giorno, Manuela Murgia, una ragazza di soli 16 anni, fu trovata senza vita nel canyon di Tuvixeddu, a Cagliari. Dopo trent’anni di silenzio e archiviazioni, il caso ha riacquistato nuova luce grazie all’impegno della famiglia e alle recenti scoperte scientifiche. Adesso, con l’assegnazione di 80 giorni per analizzare i vestiti della giovane, la giustizia potrebbe finalmente fare un passo avanti nella ricerca della verità.

La morte di Manuela è stata archiviata per ben due volte: inizialmente come suicidio e successivamente per mancanza di elementi. Tuttavia, la nuova indagine, aperta nel 2023 su impulso della famiglia, ha riacceso l’attenzione su un caso che molti hanno ritenuto irrisolto. L’ipotesi di omicidio volontario è ora al centro delle indagini, e l’unico indagato è Enrico Astero, ex fidanzato della vittima, accusato anche di violenza sessuale. La decisione di riaprire il caso è stata presa dal gip Giorgio Altieri, che ha autorizzato l’analisi dei reperti conservati per decenni.

L’analisi sui vestiti

I periti e i consulenti hanno iniziato a esaminare undici capi d’abbigliamento che erano stati conservati in una busta nei depositi dell’ex Istituto di Medicina legale di via Porcell. Tra questi, jeans, slip, calze, leggings, un maglioncino, stivaletti in pelle e persino un fermacapelli. Questa analisi è di fondamentale importanza per chiarire le circostanze della morte di Manuela. I carabinieri del Ris di Cagliari stanno utilizzando tecnologie avanzate per cercare eventuali tracce biologiche compatibili con un’aggressione.

Uno degli aspetti più critici dell’analisi riguarda gli indumenti intimi. Sebbene i test non abbiano rivelato la presenza di liquido seminale, sono emerse macchie sospette e residui organici che devono ancora essere classificati. Secondo una consulenza medico-legale, è emerso che Manuela potrebbe aver subito un abuso violento poco prima della sua morte. Il medico legale Roberto Demontis, consulente della famiglia, contesta fermamente l’ipotesi del suicidio, sostenendo che la giovane possa essere stata uccisa e poi gettata nel vuoto.

La ricerca di tracce e la figura del genetista

La delicatezza delle indagini è ulteriormente confermata dalla partecipazione di Emiliano Giardina, un genetista di fama noto per il suo lavoro nel caso di Yara Gambirasio. Giardina sarà responsabile della conduzione delle analisi del DNA sui vestiti di Manuela. Ha dichiarato: «Se c’è DNA estraneo sui vestiti, lo troveremo». Questa dichiarazione offre una speranza concreta per la famiglia Murgia, poiché la comparazione con il profilo genetico dell’indagato potrebbe rivelarsi decisiva per svelare la verità su quanto accaduto quel fatidico giorno.

Cos’è successo quel 5 febbraio 1995?

La giornata del 5 febbraio 1995 è stata caratterizzata da mistero. Manuela, prima di uscire di casa, ha ricevuto due telefonate senza rivelare a nessuno il contenuto delle conversazioni. Uscì con pochi soldi in tasca, ma il suo corpo fu ritrovato nel canyon di Tuvixeddu poche ore dopo. La scena del ritrovamento fu inizialmente archiviata come suicidio, ma la famiglia non ha mai accettato questa conclusione. Hanno continuato a cercare risposte e verità, affermando: «In trent’anni non ci ha mai rivolto una parola, nemmeno per esprimere dispiacere».

La riapertura del caso ha riacceso le speranze della famiglia Murgia di ottenere giustizia e risposte. Gli esperti dovrebbero completare il loro lavoro entro il 2 ottobre, data entro la quale dovrebbero essere completati gli accertamenti scientifici. L’attenzione mediatica e pubblica verso questo caso, dopo tanti anni, è un segnale importante che la giustizia può ancora trovare la sua strada, e che la verità, anche se tardiva, può riemergere dal buio del passato.

L’importanza della giustizia

La vicenda di Manuela Murgia rappresenta non solo un caso di cronaca nera, ma riflette anche il dolore e la frustrazione di una famiglia che ha lottato senza sosta per ottenere giustizia. La riapertura del caso potrebbe non solo portare alla luce la verità sulla morte di Manuela, ma anche servire da monito per la società riguardo alla necessità di non trascurare mai le voci di chi cerca giustizia. La speranza è che, attraverso le nuove tecnologie e l’impegno delle forze dell’ordine, si possa finalmente fare luce su un caso che ha segnato profondamente la comunità di Cagliari e non solo.