Il volto nascosto dell’anonimato: il caso Cecilia Sala e le minacce ai giornalisti

Matteo Rigamonti

Luglio 19, 2025

Il crescente fenomeno degli attacchi online ai giornalisti ha assunto contorni sempre più preoccupanti, evidenziando la necessità di tutelare la libertà di stampa e il diritto all’informazione in un contesto digitale sempre più complesso. Un caso emblematico in questo senso è quello di Cecilia Sala, giornalista de Il Foglio, che ha recentemente dovuto affrontare un ricorso legale per la rimozione di un post su X, piattaforma di social media, in seguito a un acceso scambio di opinioni con l’utente “@Tonibaruch”.

Il 10 luglio 2025, il Tribunale civile di Milano ha accolto la richiesta di Antonio Pintér, l’uomo dietro lo pseudonimo “@Tonibaruch”, ordinando la rimozione del post di Cecilia Sala pubblicato il 24 giugno 2025. Il ricorrente ha sostenuto che il contenuto del post avrebbe rivelato la sua identità, compresi nome, cognome e data di nascita, configurando un trattamento illecito dei dati personali. La decisione del giudice ha sollevato interrogativi sulla validità delle fonti citate dalla giornalista, che non erano state chiaramente riportate nel suo post.

Tuttavia, come ha evidenziato il portale Open, le fonti utilizzate da Sala per identificare Pintér sono effettivamente rintracciabili nei suoi stessi interventi su X. Questo aspetto è cruciale, poiché mette in luce una possibile discrepanza tra la percezione di protezione dell’anonimato online e la responsabilità di chi si esprime in forma pubblica.

Il contesto del conflitto

Il conflitto tra Cecilia Sala e “Toni Baruch” non è emerso dal nulla. Al contrario, è il culmine di una serie di attacchi e contestazioni che Sala ha ricevuto su X, incluso un post del 19 giugno 2025, in cui “@Tonibaruch” l’accusa di essere un “agente d’influenza” del regime iraniano. L’utente ha persino paragonato la giornalista a un individuo menzionato da Reporters Without Borders, definito un “utile idiota” per la propaganda russa. Tali affermazioni, come sottolineato da colleghi di Facta, sono estremamente gravi e potrebbero avere ripercussioni per la sicurezza di Sala, che frequentemente si reca in Medio Oriente per lavoro.

Di fronte a queste accuse, Cecilia Sala ha reagito pubblicamente il 24 giugno, affermando nel suo post che l’identità di “@Tonibaruch” fosse già nota. In un linguaggio incisivo, la giornalista ha sostenuto che etichettare qualcuno come agente straniero è non solo diffamatorio, ma anche pericoloso. La sua intenzione era quella di rendere pubbliche le identità di coloro che la diffamano senza assumersi la responsabilità delle proprie affermazioni.

L’attacco alla libertà di espressione

La questione centrale che emerge dal caso di Cecilia Sala è il delicato equilibrio tra il diritto all’anonimato online e la responsabilità di chi diffonde informazioni, in particolare quando queste possono ledere la reputazione e la sicurezza di una persona. La difesa di Pintér si basa sull’idea che la preservazione della sua identità sia fondamentale per proteggere la sua libertà di espressione. Tuttavia, questo solleva interrogativi su cosa significhi davvero essere responsabili nel discorso pubblico, soprattutto in un contesto in cui le affermazioni false o diffamatorie possono avere conseguenze devastanti.

L’avvocato di Cecilia Sala, Luca Bauccio, ha presentato un reclamo contro la decisione del Tribunale, sostenendo che la giornalista non ha avuto l’opportunità di difendersi adeguatamente a causa di problemi di comunicazione. Bauccio ha sottolineato che l’identità di Pintér è già nota e che non ci sono valide ragioni per mantenere l’anonimato in un contesto in cui le affermazioni contro Sala sono tanto gravi e infondate.

La questione delle fonti e della trasparenza

Un altro aspetto rilevante della vicenda è la questione delle fonti utilizzate da Sala per giungere all’identificazione di “@Tonibaruch”. La giornalista ha affermato di aver fatto riferimento a informazioni disponibili pubblicamente, ma il giudice ha sollevato dubbi su queste fonti. È importante notare che Pintér, attraverso il suo account, ha pubblicizzato in passato articoli in cui il suo nome è stato chiaramente indicato, il che rende l’argomento dell’anonimato ancora più complesso.

Il caso di Cecilia Sala e “Toni Baruch” rappresenta un punto di svolta nella discussione sull’anonimato online e sulla responsabilità nel discorso pubblico. È fondamentale che i professionisti dei media e il pubblico in generale possano operare in un ambiente in cui il dibattito aperto possa prosperare senza timore di ritorsioni. Tuttavia, è altrettanto importante che coloro che si avvalgono dell’anonimato per diffondere affermazioni dannose siano chiamati a rispondere delle proprie parole.

In un contesto in cui la disinformazione e le campagne di diffamazione sono sempre più comuni, la questione della protezione dei giornalisti e della loro libertà di espressione diventa cruciale. La sentenza del Tribunale di Milano e il successivo ricorso di Cecilia Sala potrebbero rappresentare un precedente significativo nella lotta per garantire che il diritto all’anonimato non diventi un velo per l’impunità.