Antonio Di Pietro, ex pubblico ministero noto per il suo ruolo chiave nell’inchiesta Mani Pulite, ha recentemente condiviso le sue riflessioni sull’inchiesta riguardante l’urbanistica di Milano, che ha coinvolto anche il sindaco Giuseppe Sala. Secondo Di Pietro, non è corretto paragonare questa indagine a quella che ha scosso l’Italia negli anni ‘90, poiché le dinamiche e l’oggetto dell’inchiesta sono molto diversi. «Non possiamo buttare via il bambino con l’acqua sporca», ha affermato, evidenziando l’importanza di affrontare questioni legittime senza trascurare lo sviluppo della città.
La natura dell’indagine
L’ex ministro delle Infrastrutture ha sottolineato che l’indagine attuale sembra adottare un approccio di “pesca a strascico”, raccogliendo informazioni su un fenomeno piuttosto che indagare su specifici reati. Di Pietro ha spiegato che, a differenza di Mani Pulite, dove l’obiettivo era scoprire chi riceveva tangenti e vantaggi, oggi si tratta di comprendere se le consulenze e gli appalti siano giustificati dalla necessità di competenze specifiche. Ha ribadito: «Non possiamo affidarci a un geometra di Canicattì per realizzare grattacieli a Milano», evidenziando l’importanza di esperti nel settore.
La questione della maionese
Di Pietro ha utilizzato una metafora culinaria per descrivere il rischio che corre l’indagine attuale: «Il rischio è che si mescoli tutto, creando una sorta di maionese». Questo riferimento alla fusione di informazioni, opinioni pubbliche e il ruolo dei media può influenzare le percezioni e creare un clima di sospetto. Ha citato situazioni passate, come quelle di Genova e Garlasco, dove l’opinione pubblica e i media hanno avuto un ruolo predominante, spesso a scapito di un giusto processo. «Si creano percorsi paralleli, si costruiscono colpevoli a tavolino. E alla fine non si capisce più niente», ha lamentato.
Giuseppe Sala sotto inchiesta
Riguardo all’inchiesta su Giuseppe Sala, Di Pietro ha sollevato interrogativi sulle prove a carico del sindaco. «Gli contestano l’induzione indebita a dare o promettere utilità. Ma bisogna chiedersi: questa utilità era per lui o per la città?». Ha chiarito che se un sindaco agisce per il bene pubblico, non dovrebbe essere considerato colpevole. Ha aggiunto: «Se affidare una consulenza a qualcuno che ha già lavorato con il comune diventa una colpa, allora chi dovremmo chiamare?», mettendo in discussione la logicità delle accuse.
La cultura del “no”
Di Pietro ha anche lanciato un avvertimento sulla crescente “cultura del no” che, secondo lui, mina l’imprenditorialità e lo sviluppo. Ha citato esempi recenti, come l’opposizione alla Tav e al gasdotto Tap, per illustrare come questo atteggiamento possa ostacolare il progresso. La sua posizione è chiara: mentre è giusto vigilare e perseguire le irregolarità, non si può permettere che la paura del sospetto paralizzi il progresso di una città come Milano, che rappresenta un punto di riferimento per l’Italia e l’Europa.
Milano è vista da Di Pietro come l’unica città italiana realmente competitiva con le capitali europee. La sua affermazione che fermare Milano sarebbe un “suicidio nazionale” risuona forte. La città è un centro nevralgico per l’economia, la cultura e l’innovazione, e ogni ostacolo al suo sviluppo potrebbe avere ripercussioni significative non solo a livello locale, ma anche su scala nazionale.
L’ex pubblico ministero invita a riflettere su come l’indagine possa influenzare non solo la reputazione del sindaco, ma anche il futuro della città. È fondamentale mantenere un equilibrio tra giustizia e sviluppo, garantendo che Milano continui a prosperare senza essere ostacolata da incertezze legali o dall’opinione pubblica.
In un contesto in cui le indagini e le accuse possono rapidamente diventare un tema di dibattito pubblico, Di Pietro invita a un approccio più razionale e meno reattivo. La vigilanza è necessaria, ma deve essere accompagnata da una comprensione profonda delle dinamiche economiche e sociali. La sfida è quella di garantire che le leggi vengano rispettate senza compromettere lo slancio di una città che è diventata un simbolo del dinamismo italiano.
In un momento storico in cui molte città europee competono per attrarre investimenti e talenti, Milano deve rimanere un faro di innovazione e crescita. La sua resilienza e la capacità di affrontare le sfide, senza farsi bloccare dalla paura del sospetto, saranno fondamentali per il suo futuro.