Lillo e Naska: rock e vulnerabilità dietro le sbarre

Giada Liguori

Luglio 22, 2025

La passione per la musica è un filo che unisce le vite di molti artisti, ma per Lillo e Naska, questo amore si è trasformato in un viaggio unico e toccante, che ha trovato la sua massima espressione nel film “Tutta Colpa del Rock”. Diretto da Andrea Jublin e prodotto da PiperFilm in collaborazione con Netflix, il film è stato acclamato al Giffoni Film Fest e racconta una storia di rinascita attraverso la musica, ambientata in un contesto insolito: il carcere.

L’importanza della musica in un contesto difficile

Lillo, noto per la sua comicità e il suo talento, ha raccontato come la sua passione per il rock sia emersa già in gioventù. “Già quando avevo 15 anni suonavo in un gruppo rock con un giubbetto di pecora e mi sentivo fighissimo”, ha confessato. Questa passione l’ha portato a esibirsi in diversi carceri italiani, dove ha avuto l’opportunità di confrontarsi con la fragilità umana in modo diretto. “Ci sono stato almeno cinque volte e ho toccato con mano la fragilità umana”, ha aggiunto, evidenziando come la musica possa rappresentare una forma di liberazione anche nei luoghi più inaccessibili.

La trama del film segue Bruno, un ex chitarrista rock, descritto come un bugiardo patologico, egoista e padre assente. Dopo una serie di scelte sbagliate e situazioni tragicomiche, Bruno si ritrova in carcere, un luogo che sembra rappresentare il fondo della sua vita. Tuttavia, proprio in questo ambiente asfissiante, nasce per lui un’occasione inaspettata: fondare una band con altri detenuti per partecipare al Roma Rock Contest. L’obiettivo? Vincere i soldi necessari a mantenere una promessa fatta alla figlia Tina di portarla in America per un leggendario “Rock Tour”.

Musica e relazioni umane: una salvezza

Lillo ha sottolineato l’importanza salvifica della musica, condividendo un episodio personale: “Per il Covid ho fatto un lungo ricovero e tre giorni di terapia intensiva. Ascoltavo cinque ore al giorno di musica rock energetica, musica intensa e ritmata, e dopo quei tre giorni ho reagito. Il medico mi ha detto che l’energia muove gli anticorpi, è un fattore chimico”. Questo porta alla luce un tema fondamentale del film: la bellezza delle relazioni affettive, che, secondo il regista Jublin, si rivelano in contesti che costringono i personaggi a confrontarsi con le proprie vulnerabilità. “Le relazioni umane ci salvano. Puoi essere nel posto più brutto, squallido e costrittivo dell’universo, ma se ami qualcuno e sei amato, in qualche modo sei salvo”, ha dichiarato.

L’esperienza di Naska e l’emozione del set

Naska, che ha fatto il suo esordio sul grande schermo proprio con questo film, ha condiviso la sua esperienza sul set. “Fare un film è stato una figata”, ha detto, raccontando con entusiasmo come il progetto unisse la sua passione per la musica e il cinema. “Io sono molto fan del cinema, vado almeno una volta a settimana e ogni sera devo vedere un film altrimenti non dormo”. Nonostante l’agitazione iniziale per essere alla sua prima esperienza sul set, Naska ha trovato un ambiente accogliente grazie alla presenza di colleghi come Lillo, Elio, Maurizio e Massimo.

Una delle esperienze più intense per Naska è stata l’interazione con le attrici, in particolare con Carolina Crescentini, che interpreta la direttrice del carcere. “C’è questa scena dove lei un po’ mi fa il cazziatone, e io ero terrorizzato talmente era brava! Dovevo stare zitto anche nella scena del film, però mi aveva talmente intimorito che anche se avessi avuto delle battute non ci sarei riuscito a dirle”, ha raccontato ridendo. Questo aneddoto mette in evidenza non solo la bravura degli attori, ma anche la potenza emotiva delle performance in un contesto così drammatico.

La musica, quindi, emerge come un elemento cruciale non solo per il protagonista, ma per tutti i personaggi, che trovano nel suono e nei testi un modo per esprimere le loro emozioni e le loro storie. Lillo e Naska concordano su un punto fondamentale: “la musica è la cosa più umana del mondo e ti aiuta a tirare fuori proprio quell’umanità”. Questo messaggio di speranza e resilienza è ciò che il film cerca di trasmettere, mostrando come, anche nei momenti più bui, ci sia sempre spazio per la redenzione attraverso l’arte e le relazioni.

In un periodo in cui il dibattito sulle condizioni carcerarie e il recupero dei detenuti è sempre più attuale, “Tutta Colpa del Rock” si propone come una riflessione importante su cosa significhi essere umani, su come la musica possa fungere da collante e da catalizzatore di emozioni, e su come, anche nei luoghi più inaspettati, possa nascere una nuova vita, una nuova speranza. Lillo e Naska, con la loro storia, ci invitano a esplorare la fragilità e la forza che convivono in ognuno di noi, dimostrando che, alla fine, ciò che conta sono le relazioni e la capacità di rialzarsi, sempre e comunque.