Madre di Bari condannata per tortura: la drammatica vendetta contro chi voleva adescare il figlio di 11 anni

Madre di Bari condannata per tortura: la drammatica vendetta contro chi voleva adescare il figlio di 11 anni

Madre di Bari condannata per tortura: la drammatica vendetta contro chi voleva adescare il figlio di 11 anni

Matteo Rigamonti

Luglio 26, 2025

La cronaca italiana ha recentemente messo in luce un caso choc che ha scosso Bari e l’intera nazione. Una madre, residente in provincia di Bari, è stata condannata a due anni di reclusione per tortura e lesioni personali. La vicenda ha avuto inizio nel 2018, quando la donna ha scoperto che un giovane di 33 anni aveva tentato di adescare il suo figlio undicenne, proponendogli di guardare video pedopornografici e di avere rapporti sessuali durante delle lezioni private. Questo fatto ha spinto la madre a prendere misure drastiche e violente nei confronti del presunto molestatore.

La scoperta e il piano di vendetta

La scoperta del tentativo di adescamento è stata devastante per la donna. Il figlio, all’epoca dei fatti, ha rivelato alla madre le proposte inaccettabili ricevute dal giovane, suscitando in lei un immediato senso di protezione e rabbia. Nella mente della madre, l’idea di vendetta ha preso piede. Così, con un piano ben congegnato, ha invitato l’uomo a casa sua, fingendosi il ragazzino per attirarlo in trappola.

  1. L’invito a casa
  2. Il pestaggio
  3. La diffusione dei video

Quando l’uomo è entrato nell’appartamento, la madre lo ha costretto a sedersi su una sedia e, dopo avergli tolto gli occhiali, ha cominciato a picchiarlo furiosamente. Non era sola; un’amica si è unita al pestaggio, e insieme hanno dato vita a un vero e proprio atto di tortura. Le parole di disprezzo della madre rimbombavano nell’aria: «Stai zitto, bastardo. Sei un mostro». La violenza è sfociata in un’aggressione fisica, culminando in un attacco con un taglierino, con cui la donna ha inciso una ferita sulla mano dell’uomo.

La diffusione virale e le conseguenze legali

La brutalità dell’episodio non si è fermata qui. Una terza donna è entrata nell’appartamento durante il pestaggio e ha iniziato a riprendere la scena con il cellulare. L’uomo, sotto pressione e in preda alla paura, è stato costretto ad ammettere di essere un pedofilo e a leggere i messaggi che aveva inviato al ragazzino. Queste ammissioni, estorte con la violenza, sono state poi diffuse sui social media, creando un effetto virale. I video delle torture hanno fatto il giro di Facebook e WhatsApp, raggiungendo migliaia di persone e trasformando la vita di tutti i coinvolti in un incubo.

La madre, successivamente condannata, ha ricevuto una pena di due anni di reclusione. Questa condanna è stata ottenuta con rito abbreviato e la pena è stata dimezzata in quanto ha rinunciato ai motivi d’appello. Nonostante la condanna, la questione resta complessa e solleva interrogativi sulla giustizia e sull’approccio a casi di pedofilia.

Riflessioni sulla giustizia e la protezione dei minori

Il caso ha riacceso il dibattito sulla protezione dei minori e sulla giustizia nei casi di pedofilia. Molti si sono chiesti se la violenza della madre fosse giustificabile, considerando l’orrore che il suo bambino avrebbe potuto subire. Alcuni sostengono che la reazione della donna, sebbene illegale, fosse una risposta comprensibile alla paura di perdere il proprio figlio. Altri, invece, evidenziano che la vendetta e la violenza non possono mai essere la soluzione, e che esistono canali legali per affrontare tali situazioni.

Il dramma di questa storia si estende oltre la semplice condanna. Le ripercussioni psicologiche sui coinvolti, in particolare sul figlio, sono difficili da valutare. Crescere in un ambiente dove la violenza è stata utilizzata come risposta a una minaccia può avere effetti duraturi sulla psiche di un bambino. Inoltre, l’esposizione pubblica di un tale incidente sui social media ha sollevato interrogativi sull’etica della condivisione di contenuti violenti e sulla responsabilità di chi pubblica informazioni sensibili.

In conclusione, la storia della madre di Bari e del giovane adescatore è un esempio estremo di come la paura e la rabbia possano portare a conseguenze devastanti. Mentre la giustizia ha preso il suo corso, il caso rimane una ferita aperta nella comunità, un monito su quanto sia importante affrontare il problema della pedofilia in modo efficace e umano, proteggendo i più vulnerabili e prevenendo la violenza.