La recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riacceso il dibattito sui danni causati dal fumo e sulla responsabilità dei produttori di tabacco. La III sezione civile ha accolto il ricorso dei figli di un uomo deceduto nel 2013 a causa di un tumore polmonare, dopo aver fumato per ben 45 anni due pacchetti di sigarette al giorno. Questo caso, che coinvolge direttamente la British American Tobacco e i Monopoli di Stato, è destinato a influenzare la giurisprudenza riguardante le malattie legate al fumo e il risarcimento per i familiari delle vittime.
La consapevolezza dei rischi del fumo
Il fulcro della questione è rappresentato dalla consapevolezza, o meglio dalla mancanza di consapevolezza, dei fumatori riguardo ai rischi specifici per la salute associati al fumo. La Corte ha sottolineato come, sebbene i pericoli del fumo fossero diventati un “fatto socialmente noto” già negli anni Settanta, nel 1968, anno in cui l’uomo ha iniziato a fumare all’età di 15 anni, la correlazione diretta tra fumo e cancro non era ancora pienamente riconosciuta dal pubblico. Questo porta a interrogarsi sulla responsabilità dei produttori di tabacco, che non hanno fornito informazioni chiare e dettagliate sui rischi legati al consumo di sigarette.
La decisione della Cassazione e le sue implicazioni
La decisione della Cassazione ha annullato la sentenza della Corte d’Appello di Torino, la quale nel 2021 aveva respinto le richieste di risarcimento avanzate dai familiari della vittima. Ora, la Corte d’Appello dovrà riesaminare il caso, tenendo conto delle nuove indicazioni fornite dai giudici supremi. Importante è il principio stabilito dalla Cassazione:
- Solo in presenza di una consapevolezza effettiva dei rischi da parte del fumatore si può configurare un concorso di colpa.
- Se si stabilirà che il fumatore non era consapevole dei rischi, la responsabilità potrebbe gravare maggiormente sui produttori di tabacco.
Il Codacons, l’associazione di tutela dei consumatori che ha supportato i familiari della vittima, ha accolto con entusiasmo la decisione della Cassazione. Il presidente Marco Maria Donzelli ha definito l’ordinanza come «clamorosa», poiché contraddice le tesi sostenute da numerosi tribunali italiani, secondo cui chi inizia a fumare è pienamente consapevole dei rischi sanitari e della possibilità di sviluppare gravi patologie. La nuova sentenza potrebbe aprire la strada a centinaia di cause simili in tutto il Paese, creando un precedente giuridico significativo.
L’importanza della corretta informazione
La questione del fumo e della salute pubblica ha una lunga storia. Negli anni ’50 e ’60, il fumo era spesso associato a un’immagine di stile di vita e libertà personale, mentre gli allarmi sui pericoli per la salute erano inizialmente relegati a pochi studi scientifici. Solo con il passare del tempo e l’emergere di prove sempre più solide, la comunità medica e il pubblico hanno cominciato a comprendere appieno la gravità della questione. Oggi, sappiamo che il fumo di sigaretta è responsabile di una serie di malattie, tra cui non solo il cancro ai polmoni, ma anche malattie cardiovascolari e respiratorie.
Nel contesto attuale, la Cassazione ha messo in evidenza un aspetto cruciale: la difesa dei diritti dei consumatori e la necessità di una corretta informazione da parte delle aziende produttrici. La questione si intreccia con il dibattito più ampio sulla responsabilità sociale delle aziende e sull’importanza di pratiche pubblicitarie etiche. Le aziende del tabacco, negli ultimi decenni, hanno affrontato crescenti pressioni legali e normative, e la sentenza della Cassazione potrebbe ulteriormente inasprire questa situazione.
Con una crescente consapevolezza dei danni causati dal fumo e un pubblico sempre più informato, si potrebbe assistere a un cambiamento culturale rispetto al tabagismo. La decisione della Cassazione rappresenta un passo importante in questa direzione, ponendo interrogativi sulla responsabilità delle aziende e sul diritto dei consumatori a ricevere informazioni chiare e veritiere. In questo contesto, il caso in esame si configura non solo come una battaglia legale, ma come una questione di giustizia sociale che coinvolge tutti.