La sentenza della Consulta sulla riforma Cartabia: cosa cambia per i detenuti con reati ostativi

La sentenza della Consulta sulla riforma Cartabia: cosa cambia per i detenuti con reati ostativi

La sentenza della Consulta sulla riforma Cartabia: cosa cambia per i detenuti con reati ostativi

Matteo Rigamonti

Luglio 30, 2025

Recentemente, la Corte Costituzionale italiana ha emesso una sentenza di grande rilevanza riguardo all’applicazione delle pene per i detenuti condannati per reati ostativi. Con la riforma Cartabia, che ha modificato l’articolo 4-bis dell’Ordinamento penitenziario, si è aperto un dibattito significativo sulla possibilità di concedere pene sostitutive a chi ha commesso reati particolarmente gravi. La Consulta ha stabilito che escludere tali detenuti dall’accesso a misure alternative alla detenzione è costituzionalmente legittimo, lasciando però alla discrezione del giudice la decisione di applicare o meno queste misure.

Cosa sono i reati ostativi

I reati ostativi, definiti dall’articolo 4-bis, comprendono una serie di reati gravi, tra cui:

  1. Criminalità organizzata e mafiosa
  2. Violenza sessuale
  3. Terrorismo
  4. Corruzione
  5. Altri crimini che compromettono la sicurezza e la dignità sociale

Questi reati sono considerati talmente gravi da impedire l’accesso ai benefici penitenziari, come la sospensione della pena, che permetterebbe ai condannati di scontare la pena al di fuori del carcere. È importante notare che, per condanne inferiori ai quattro anni, i detenuti per reati ostativi non possono nemmeno chiedere la sospensione dell’esecuzione della pena, costringendoli a entrare in carcere.

La questione sollevata a Firenze

La questione è emersa da due procedimenti avviati da un giudice dell’udienza preliminare e dalla Corte d’Appello di Firenze, riguardanti casi di violenza sessuale e pornografia minorile. In entrambi i casi, le pene inflitte non superavano i quattro anni, e i giudici hanno chiesto alla Corte Costituzionale di esprimersi sulla legittimità dell’esclusione delle pene sostitutive per i condannati per reati ostativi. La modifica apportata dalla riforma Cartabia all’articolo 59 della legge 689/1981 ha introdotto nuove forme di pene sostitutive, rendendo necessario un chiarimento sulla loro applicabilità.

La sentenza della Corte Costituzionale

Nella sentenza pubblicata il 29 luglio, la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondate le questioni sollevate dai giudici fiorentini. La Consulta ha affermato che la riforma Cartabia non prevede una «distinta disciplina» riguardo all’accesso ai benefici per i condannati per reati ostativi. Dunque, il legislatore ha la possibilità di stabilire, rispettando i principi di ragionevolezza e proporzionalità, a quali tipologie di reato possano essere applicate le nuove pene sostitutive. Questo significa che il giudice ha una certa discrezionalità nel decidere se e come applicare queste misure alternative.

Nonostante la legittimità dell’esclusione dei reati ostativi dall’accesso ai benefici penitenziari, la Corte ha sottolineato l’importanza di garantire che la pena detentiva sia eseguita in condizioni rispettose della dignità umana. Questo principio è centrale nel sistema penale italiano e riflette un impegno a garantire che la pena non sia solo punitiva, ma anche rieducativa.

Le implicazioni della sentenza

La sentenza della Consulta ha quindi importanti implicazioni per il sistema penale italiano. In primo luogo, conferma che il legislatore ha il potere di definire quali reati siano considerati ostativi e di escludere i condannati da misure alternative. Questo può avere conseguenze significative per coloro che si trovano a scontare pene per reati gravi, poiché limita le loro opportunità di reinserimento sociale. D’altro canto, la sentenza riafferma il dovere di garantire condizioni di detenzione rispettose della dignità umana.

Il dibattito sulla riforma Cartabia e sulla legittimità delle pene ostative è destinato a continuare. Da un lato, ci sono coloro che sostengono che la sicurezza pubblica deve avere la precedenza e che i reati particolarmente gravi giustifichino misure più severe. Dall’altro lato, ci sono voci che avvertono dei rischi di una giustizia eccessivamente punitiva, che potrebbe non favorire il reinserimento sociale dei detenuti e perpetuare il ciclo della criminalità.

In questo contesto, è fondamentale che il legislatore e i giudici continuino a riflettere su come bilanciare la sicurezza pubblica con i diritti umani e la dignità dei condannati. La sentenza della Consulta rappresenta un passo importante in questa direzione, ma la strada verso una giustizia equa e umana è ancora lunga e complessa.