Mammografia errata: la tragica storia di una dottoressa e il risarcimento milionario al marito

Mammografia errata: la tragica storia di una dottoressa e il risarcimento milionario al marito

Mammografia errata: la tragica storia di una dottoressa e il risarcimento milionario al marito

Matteo Rigamonti

Agosto 10, 2025

Un tragico caso di malasanità ha scosso la comunità, portando alla luce l’importanza di una diagnosi tempestiva e accurata. Una dottoressa di 58 anni, il cui destino è stato segnato da un tumore al seno, ha visto il marito ricevere un risarcimento di oltre 562mila euro dalla Corte d’Appello di Bologna, dopo un lungo e doloroso percorso legale durato 14 anni. Questa vicenda mette in evidenza non solo le conseguenze devastanti di un errore diagnostico, ma anche la necessità di maggiore responsabilità nelle strutture sanitarie.

La diagnosi errata e le sue conseguenze

La storia inizia nel gennaio 2011, quando la dottoressa, anche lei medico, si sottopose a una mammografia nell’ambito del programma di screening regionale. I risultati, considerati normali dai medici dell’ospedale di Riccione, hanno illuso la paziente riguardo alla sua salute, portandola a non effettuare ulteriori controlli. Tuttavia, nel novembre 2012, preoccupata per un nodulo avvertito durante l’autopalpazione, decise di consultare una clinica privata. Qui le fu diagnosticato un «carcinoma infiltrante e macrometastasi al linfonodo sentinella», un esito che avrebbe dovuto essere individuato già quasi due anni prima.

Le conseguenze di questo errore diagnostico sono state fatali. Nonostante l’intervento chirurgico e un ciclo di chemioterapia, la dottoressa non riuscì a fermare l’avanzata della malattia e morì nel settembre 2015. La Corte d’Appello di Bologna ha confermato che la mancata diagnosi ha compromesso gravemente le possibilità di sopravvivenza della donna, evidenziando l’importanza di una diagnosi precoce.

La battaglia legale per la giustizia

Il marito della dottoressa, assistito dall’avvocato Alessandro Alessandrini Marrino, ha intrapreso un’azione legale non solo per ottenere un risarcimento, ma anche per onorare l’ultima volontà della moglie: comprendere come fosse possibile un errore così grave. La Corte ha inizialmente stabilito un risarcimento di oltre due milioni di euro, cifra poi ridotta in appello. L’Azienda Unità Sanitaria Locale (Ausl) della Romagna è stata condannata a pagare la somma stabilita, un segnale forte riguardo la responsabilità delle strutture sanitarie.

Questa battaglia legale ha sollevato interrogativi più ampi sulla sicurezza dei programmi di screening e sull’affidabilità dei risultati. Non è raro che pazienti, rassicurati da diagnosi negative, non si rivolgano a ulteriori controlli, pensando di essere al sicuro. Il caso evidenzia la necessità di protocolli rigorosi per garantire che ogni esame venga eseguito con la massima attenzione e competenza.

L’importanza della trasparenza e della responsabilità

Il dramma vissuto dalla famiglia della dottoressa ha messo in luce non solo la fragilità del sistema diagnostico, ma anche l’importanza di un’adeguata formazione e supervisione per gli operatori sanitari. La lotta della famiglia per ottenere giustizia deve essere vista come un campanello d’allarme per tutti noi, sottolineando la necessità di essere sempre vigili e proattivi riguardo alla propria salute e ai propri diritti.

In un periodo in cui l’attenzione verso la salute e la prevenzione è maggiore che mai, è fondamentale che le istituzioni sanitarie riflettano su questo episodio e implementino misure per garantire un sistema più sicuro e responsabile. La ricerca di giustizia da parte del marito rappresenta un esempio di come la verità e la trasparenza possano contribuire a migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria e a prevenire futuri casi di malasanità.