Dopo 20 anni di carcere, il rapitore di Tommaso Onofri racconta la sua storia

Dopo 20 anni di carcere, il rapitore di Tommaso Onofri racconta la sua storia

Dopo 20 anni di carcere, il rapitore di Tommaso Onofri racconta la sua storia

Matteo Rigamonti

Agosto 31, 2025

È tornato in libertà Salvatore Raimondi, uno dei protagonisti del sequestro di Tommaso Onofri, un tragico caso che ha scosso l’Italia nel 2006. Tommaso, all’epoca un bambino di appena 18 mesi, fu rapito la sera del 2 marzo 2006 dalla sua abitazione a Casalbaroncolo, un piccolo comune alle porte di Parma. La vicenda si trasformò in un incubo per la famiglia Onofri e per l’intera nazione, culminando in un tragico epilogo.

Raimondi ha scontato una pena di 20 anni di reclusione, inflittagli in rito abbreviato per la sua partecipazione al rapimento. A differenza degli altri due imputati principali, non è stato riconosciuto colpevole dell’omicidio del bambino, ma il suo coinvolgimento rimane uno degli aspetti più inquietanti di questa triste storia.

L’uscita dal carcere e il percorso in semilibertà

Salvatore Raimondi è uscito dal carcere di Forlì nelle scorse settimane. Sebbene avesse già completato la pena principale nel 2022, era rimasto in detenzione a causa di una condanna definitiva del 2018 a tre anni e mezzo di carcere per estorsione ai danni di un altro detenuto. Negli anni successivi, Raimondi aveva beneficiato della semilibertà, permettendogli di lavorare come operaio in una ditta di Forlì durante il giorno e di rientrare in cella la sera. Durante la sua detenzione, nel 2016, si era anche sposato con una detenuta che, a sua volta, deve ancora completare la sua pena.

L’avvocato di Raimondi, Marco Gramiacci, ha spiegato che «è passato dalla semilibertà alla libertà. Durante la pena, per sua scelta, non ha mai voluto richiedere permessi premio», una decisione che può sembrare sorprendente considerando la gravità del suo crimine.

Il ruolo nel sequestro

Raimondi ha avuto un ruolo cruciale nel sequestro del piccolo Tommaso. La sera del 2 marzo 2006, fu lui a prelevare il bambino dal seggiolone, lasciando l’impronta digitale decisiva sul nastro adesivo con cui furono immobilizzati i familiari. Dopo un mese di indagini, Raimondi fu il primo a crollare, confessando le sue azioni e rivelando di aver collaborato con Mario Alessi e Antonella Conserva, la compagna di Alessi, nell’organizzazione del sequestro.

Secondo la confessione di Raimondi, fu Alessi a infliggere il colpo mortale al bambino con una vanghetta e a soffocarlo in un luogo remoto, mentre lui si era già allontanato. Il corpo del piccolo Tommaso fu rinvenuto il 1° aprile 2006 lungo l’argine del torrente Enza, un ritrovamento che scosse profondamente l’opinione pubblica e segnò un triste capitolo nella storia della giustizia italiana.

I giudici, nel loro verdetto, sottolinearono che l’omicidio fu deciso per «eliminare un ostacolo» al piano criminale di estorcere denaro alla famiglia Onofri, una motivazione che ha suscitato indignazione e dolore tra la popolazione.

Le condanne

La giustizia italiana ha riconosciuto ruoli diversi ai tre protagonisti di questa drammatica vicenda:

  1. Mario Alessi: considerato l’artefice principale del sequestro e dell’omicidio, fu condannato all’ergastolo per sequestro di persona e omicidio volontario.
  2. Antonella Conserva: compagna di Alessi e giudicata partecipe nella pianificazione del rapimento, ricevette una condanna a 24 anni di carcere.
  3. Salvatore Raimondi: pur avendo contribuito materialmente al rapimento, fu condannato a 20 anni, ma non fu ritenuto coinvolto nella decisione di sopprimere il bambino.

Questa differenziazione di responsabilità ha suscitato polemiche e discussioni sulla giustizia e la sua capacità di affrontare crimini così efferati.

Il dolore della famiglia Onofri

La scarcerazione di Raimondi ha riaperto il dolore della famiglia Onofri, che continua a vivere con il peso della perdita del piccolo Tommaso. Paola Pellinghelli, la madre del bambino, ha dichiarato alla Gazzetta di Parma: «Prima o poi me l’aspettavo, visto che era già in semilibertà. Che si goda la sua vita, noi invece siamo condannati per sempre». Queste parole testimoniano il profondo strazio di una madre che ha perso il suo unico figlio in circostanze così tragiche e ingiuste.

La Pellinghelli ha aggiunto: «A nessuno dei tre auguro del male: se sono credenti, faranno i conti con Dio. Ma non voglio sentire parlare di perdono. Per me sono tutti e tre sullo stesso piano. Non perché ha aiutato la giustizia è diverso dagli altri, meno responsabile». Queste dichiarazioni riflettono un dolore che non si affievolisce nel tempo, ma che anzi si intensifica con la consapevolezza che i responsabili del rapimento e dell’omicidio di Tommaso sono tornati a vivere liberamente. La questione della giustizia e della responsabilità morale rimane un tema centrale in questa storia, che continua a suscitare emozioni forti e contrastanti nell’opinione pubblica italiana.