La storia di Stefania Albertani, condannata a vent’anni di reclusione per l’omicidio della sorella e per un tentativo di omicidio nei confronti dei genitori, ha catturato l’attenzione di molti. Il suo dramma personale è stato raccontato in un libro intitolato “Io volevo ucciderla”, scritto dai criminologi Adolfo Ceretti e Lorenzo Natali, e pubblicato da Raffaello Cortina Editore nel 2022. Questo volume, composto da 448 pagine, si basa su interviste semi-strutturate con la stessa Albertani, rivelando una storia complessa e sfumata che va oltre il semplice racconto di un crimine.
Un aspetto interessante è che il libro ha ispirato il film “Elisa”, diretto da Leonardo Di Costanzo e presentato alla Mostra del Cinema di Venezia. Ora in distribuzione nelle sale cinematografiche italiane, il film è prodotto da Tempesta in collaborazione con Rai Cinema e distribuito da 01 Distribution. La pellicola offre una visione cinematografica della vicenda di Stefania, interpretata magistralmente da Barbara Ronchi. Nella pellicola, la protagonista ha passato dieci anni in carcere per aver ucciso la sorella in circostanze che sembrano prive di motivazione apparente. L’assenza di ricordi su quel tragico evento diventa un elemento centrale nella narrazione, mentre il suo incontro con un criminologo, interpretato da Roschdy Zem, segna l’inizio di un percorso di auto-scoperta e comprensione di sé.
L’approccio innovativo degli autori
L’approccio degli autori del libro è stato innovativo. Lorenzo Natali spiega che i colloqui con Stefania sono iniziati prima della pandemia di Covid-19, ma il lockdown ha costretto il team a interrompere le interviste in carcere. Dopo un periodo di pausa, sono riusciti a riprendere i contatti online, scoprendo un nuovo lato della personalità di Stefania. Durante questo tempo di riflessione forzata, Albertani ha rivelato una verità personale che si distacca dalla narrazione processuale: la sua intenzione di uccidere. Questo cambiamento di prospettiva rappresenta un punto di svolta non solo per lei, ma anche per i criminologi, che hanno dovuto rivedere il loro approccio alla ricerca.
Nel libro, Ceretti sottolinea come Stefania non avesse mai potuto raccontare la sua storia in un modo che le appartenesse veramente. Durante il processo, era stata etichettata come dissociata e incapace di ricordare gli eventi a causa di un presunto problema neurologico. Questo l’aveva privata della possibilità di possedere la propria narrazione, costringendola in una sorta di gabbia psicologica. Ma, attraverso il confronto e il dialogo, ha cominciato a prendere consapevolezza della sua storia, il che ha portato a un cambiamento significativo nel suo modo di percepire il passato.
L’evoluzione di Stefania e il suo impatto
Questa evoluzione di Stefania ha avuto un impatto anche sui criminologi. Natali ha affermato che la sua trasformazione li ha spinti a riconsiderare il loro metodo di lavoro. Loro, che raccolgono testimonianze per elaborazioni teoriche, si sono resi conto di dover inserire un elemento trasformativo nel loro approccio, andando oltre la mera raccolta di dati. Ceretti ha spiegato che il passaggio da un sentimento di colpa paralizzante a un senso di responsabilità e consapevolezza è stato fondamentale per Stefania, permettendo a lei di riconoscere il disvalore del suo gesto e di prendersi la responsabilità delle sue azioni.
Nonostante le differenze tra la realtà e la rappresentazione cinematografica, Natali ha sottolineato come il film mantenga il senso della storia originale. Stefania ha avuto modo di rivedere sia il libro che la sceneggiatura del film, senza apportare modifiche, testimoniando così una profonda connessione con il loro lavoro. Questo processo ha rappresentato per lei non solo un’opportunità di espressione, ma anche un modo per affrontare il suo passato.
Giustizia riparativa e opportunità di confronto
La questione della giustizia riparativa è emersa come un tema importante nel lavoro condotto con Stefania. Ceretti, uno dei pionieri di questo approccio in Italia, ha sottolineato come il cammino intrapreso con lei rappresenti solo un primo passo. La speranza è che Stefania possa affrontare un percorso di giustizia riparativa, magari avendo un confronto diretto con una vittima, come un genitore che ha perso un figlio a causa di un omicidio. Questo tipo di incontro potrebbe rappresentare un’opportunità per Stefania di confrontarsi con le conseguenze delle sue azioni in un contesto di elaborazione e riconciliazione.
La storia di Stefania Albertani, quindi, non è solo quella di un crimine, ma di un percorso di autoconsapevolezza, di ricerca di verità e di responsabilità, che si riflette sia nel libro che nel film. L’esperienza di Stefania diventa un simbolo di come, anche nelle situazioni più oscure, ci possa essere una possibilità di redenzione e crescita personale, un messaggio potente che risuona nel cuore di chiunque si avvicini a queste storie.