Elisa di Di Costanzo: un viaggio nel dolore della scoperta di sé

Elisa di Di Costanzo: un viaggio nel dolore della scoperta di sé

Elisa di Di Costanzo: un viaggio nel dolore della scoperta di sé

Giada Liguori

Settembre 15, 2025

La dissociazione è un meccanismo psicologico spesso poco compreso, ma centrale nel film “Elisa” di Leonardo Di Costanzo, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia e attualmente nelle sale cinematografiche. La pellicola narra la storia di una donna, Elisa, interpretata da Barbara Ronchi, che ha trascorso dieci anni in carcere per aver ucciso brutalmente la sorella in circostanze misteriose, di cui afferma di non avere alcun ricordo. Questo vuoto di memoria offre un’opportunità per un’analisi profonda del trauma e della dissociazione, temi che lo psichiatra e psicoanalista Vittorio Lingiardi ha approfondito in un’intervista con l’ANSA.

il significato della dissociazione

Lingiardi spiega che la dissociazione è un processo psichico in cui esperienze traumatiche vengono “dissociate” dalla coscienza, come se fossero rinchiuse in una camera segreta della mente. Questi ricordi, pur rimanendo presenti a livello corporeo, non sono accessibili alla coscienza, risultando così “infrequentabili”. Questo porta a una frattura interna: una parte di sé è consapevole del dolore, mentre l’altra si sforza di rimanere ignara, creando un conflitto che può manifestarsi in vari modi nel comportamento e nelle relazioni.

il viaggio di Elisa verso la consapevolezza

Il film di Di Costanzo illustra come il criminologo, interpretato da Roschdy Zem, svolga un ruolo cruciale nel guidare Elisa verso la riscoperta della sua storia personale. Questo processo è paragonabile a tentare di aprire una porta chiusa da troppo tempo. La reazione iniziale di Elisa è di turbamento e isolamento, ma con il progredire della narrazione, il dolore della conoscenza di sé diventa un’esperienza profonda e liberatoria. Questo dolore, sebbene pesante, rappresenta un passo verso la comprensione e la responsabilità, permettendo a Elisa di affrontare il male che abita in lei.

la dissociazione nella vita quotidiana

Lungi dall’essere un fenomeno esclusivo delle esperienze estreme, la dissociazione si manifesta anche in contesti quotidiani. Secondo Lingiardi, tutti noi utilizziamo forme di dissociazione per affrontare le difficoltà quotidiane. Tuttavia, ci sono dissociazioni più gravi, spesso legate a traumi subiti, come abusi o maltrattamenti, che possono essere devastanti se vissuti in età infantile. In questi casi, la dissociazione diventa un meccanismo di difesa durante l’atto stesso dell’abuso, quando la mente cerca di fuggire da una situazione insostenibile.

  1. Lingiardi sottolinea che anche nei casi di violenza estrema, la possibilità di raccontare e tornare in contatto con la propria storia è cruciale per non rimanere prigionieri di una vita dissociata.
  2. La relazione tra il criminologo e Elisa diventa fondamentale, poiché affrontare il trauma richiede un ascolto attento e la presenza di un’altra persona.

il ruolo della narrazione terapeutica

Un aspetto interessante del film è rappresentato dal personaggio interpretato da Valeria Golino, una madre il cui figlio è stato ucciso. La sua presenza evidenzia la difficoltà di riconoscere l’umanità in chi ha compiuto atti di violenza. Lingiardi afferma che “il lavoro di riconoscere l’umanità del male è estremamente difficile”, evidenziando come la società tenda a rifugiarsi in slogan come “buttiamoli in galera e buttiamo via la chiave”. Tuttavia, anche l’esperienza del male deve essere vista come parte della condizione umana e merita di essere interrogata.

L’articolo 27 della Costituzione italiana, che parla della rieducazione del condannato, trova una risonanza profonda nel discorso di Lingiardi. La sua affermazione che “raccontare una storia è sempre possibile e doveroso” sottolinea l’importanza della narrazione terapeutica non solo per il condannato, ma anche per l’intera società. La consapevolezza del male e la necessità di affrontarlo non devono essere ignorate, ma trasformate in un’opportunità di riflessione e crescita collettiva.

In conclusione, il film “Elisa” non è solo una storia di violenza e rieducazione, ma un invito a esplorare le complessità della psiche umana. Riconoscere che anche le esperienze più oscure possono essere comprese e elaborate attraverso il dialogo e l’ascolto è fondamentale. La strada verso la conoscenza di sé, per Elisa e per chi vive situazioni di trauma, è impervia, ma rappresenta un viaggio che può portare a una forma di liberazione e a una nuova consapevolezza del proprio essere nel mondo.