Con il recente via libera del Cipess al progetto esecutivo del Ponte sullo Stretto di Messina, si è aperta una fase cruciale per la realizzazione di un’opera destinata a trasformare il panorama infrastrutturale italiano. Questo progetto, atteso da decenni, non è solo un investimento economico significativo, ma offre anche un’analisi approfondita delle opportunità occupazionali che esso comporterà. Andrea Benigni, amministratore delegato di Eca Italia, ha fornito una visione dettagliata su quanto potrebbe offrire in termini di lavoro e competenze.
Opportunità di lavoro nel cantiere del ponte
Secondo le stime ufficiali della società Stretto di Messina Spa, il cantiere del ponte avrà un’occupazione media di 4.300 lavoratori all’anno, con un picco di 7.000 nei momenti di massima attività. Tuttavia, Benigni sottolinea che il vero impatto occupazionale va oltre i numeri immediatamente visibili.
- Su un orizzonte di sette anni, ciò equivale a circa 30.000 unità lavorative per anno (ula) dirette.
- A queste si sommano 90.000 ula tra indotto e filiera.
- Il totale complessivo si aggira attorno a 120.000 ula.
Infatti, un’ula rappresenta una persona occupata a tempo pieno per un anno, quindi il numero di posti di lavoro effettivi generati dal ponte potrebbe oscillare tra i 15.000 e i 20.000 nell’arco di 7-8 anni.
La sfida della manodopera qualificata
Tuttavia, l’entusiasmo per il potenziale di creazione di posti di lavoro è accompagnato da una sfida significativa: la disponibilità di manodopera qualificata. Benigni si interroga su dove reperire le figure necessarie, molte delle quali con competenze tecniche già oggi difficili da trovare. Il settore delle costruzioni in Italia sta affrontando un mismatch strutturale tra domanda e offerta, con una carenza di professionisti come carpentieri, tecnici di cantiere, saldatori, ingegneri strutturali e operatori di macchinari complessi. Questa situazione potrebbe aggravarsi ulteriormente di fronte a un progetto di tale portata.
L’importanza dell’immigrazione qualificata
In questo contesto, Benigni introduce il tema dell’immigrazione qualificata. L’Unione Europea offre strumenti per attrarre competenze dall’estero, il più importante dei quali è la blue card, un permesso di soggiorno per lavoratori altamente qualificati provenienti da paesi non UE. Questo canale consente l’assunzione dall’estero senza le restrizioni imposte dalle quote di ingresso. Tuttavia, l’Italia si trova indietro rispetto ad altri paesi europei in questo ambito.
Secondo Eurostat, nel 2023 la Germania ha rilasciato oltre 69.000 blue card, mentre l’Italia ne ha concesse meno di 1.000. Si prevede che nel 2024 questi numeri non subiranno cambiamenti significativi. La disparità non è casuale; la Germania ha creato un ecosistema favorevole attorno alla blue card, con procedure snelle e riduzione della burocrazia. Al contrario, l’Italia continua a muoversi con lentezza, affrontando iter complessi e un approccio culturale che tende a percepire l’immigrazione come un fenomeno emergenziale.
Le aziende italiane che hanno già integrato personale qualificato attraverso la blue card non solo ottengono vantaggi immediati in termini di competenze, ma beneficiano anche di un arricchimento culturale che stimola l’innovazione. Benigni afferma che “il ponte sarà costruito con acciaio e cemento, ma la sua riuscita dipenderà soprattutto dal capitale umano che sapremo mobilitare”. Se non si riuscirà a colmare il mismatch di competenze, i rischi sono elevati: ritardi nei lavori e una crescente perdita di competitività per il settore delle costruzioni.
Se, al contrario, si riuscisse a trasformare questa sfida in un’opportunità, il cantiere del Ponte sullo Stretto potrebbe diventare un acceleratore di innovazione nelle politiche del lavoro. La chiave sarà non solo attrarre lavoratori, ma anche garantire che le competenze richieste siano presenti e disponibili, creando un ambiente in cui le risorse umane possano prosperare e contribuire al successo dell’opera. Il Ponte sullo Stretto non è solo un’infrastruttura fisica; rappresenta un’opportunità per ripensare le strategie occupazionali e rafforzare il tessuto socio-economico dell’Italia.