Un tragico errore medico ha segnato la vita di una donna di 77 anni, ricoverata nel 2011 presso l’ospedale di Colleferro, in provincia di Roma. La paziente, residente ad Artena, ha subìto una trasfusione di sangue destinata erroneamente alla sua compagna di stanza, un errore che ha innescato eventi fatali culminati nella sua morte. Recentemente, la Asl Roma 5 è stata condannata a risarcire i nove eredi della vittima con un importo complessivo di circa 1,6 milioni di euro, come confermato dalla Corte d’Appello di Roma.
Il ricovero e l’errore fatale
La vicenda inizia con il ricovero della donna, avvenuto 28 giorni prima del suo decesso. Durante il suo soggiorno in ospedale, ha ricevuto una trasfusione di sangue errata, in quanto il gruppo sanguigno del sangue trasfuso era incompatibile con il suo A Rh+. Questo errore ha avuto effetti devastanti sul sistema immunitario della donna, già fragile, portando a un rapido deterioramento delle sue condizioni.
Le conseguenze dell’errore
Nonostante il ritardo nella diagnosi della sindrome di Guillain-Barré, una malattia autoimmune che colpisce il sistema nervoso, i problemi legati alla trasfusione non erano stati adeguatamente documentati. La cartella clinica della signora non riportava l’errore, rendendo difficile per i medici del Policlinico Umberto I di Roma comprendere appieno la gravità della situazione al momento del trasferimento. Questo ha contribuito a un ulteriore aggravamento delle sue condizioni, che si sono rivelate fatali.
La battaglia legale degli eredi
Nove eredi, tra cui sette figli e due nipoti, hanno avviato un’azione legale contro la Asl nel 2015. La sentenza di primo grado, emessa nel 2020, aveva già riconosciuto le responsabilità dell’ente sanitario, e il successivo appello ha confermato la tesi degli eredi, avallando la richiesta di un risarcimento significativo. L’importo stabilito deve essere corrisposto entro 30 giorni dalla sentenza, emessa il 10 settembre 2023.
Uno degli aspetti più inquietanti di questa vicenda è l’errore dell’infermiere, il quale, pur avendo redatto una relazione il giorno successivo all’accaduto, ha visto il suo resoconto sparire dalla cartella clinica della paziente. L’avvocato Renato Mattarelli, che ha rappresentato gli eredi, ha sottolineato come la trasfusione sia un atto medico critico, normalmente gestito da personale altamente qualificato. Tuttavia, in questo caso, l’operazione è stata eseguita da un infermiere, il cui rapporto sull’errore non è stato comunicato ai medici che hanno preso in carico la paziente al Policlinico.
La necessità di migliorare i protocolli
La scoperta dell’errore è avvenuta casualmente grazie a una figlia della vittima, la quale ha iniziato a mettere in discussione le circostanze della morte della madre. Questo ha dato inizio a un iter legale che ha rivelato le mancanze nella gestione della cartella clinica e nelle comunicazioni interne dell’ospedale. È emerso che, nonostante l’ammissione dell’errore da parte dell’infermiere, la famiglia non era stata avvisata del trasferimento della 77enne al Policlinico Umberto I di Roma.
Questo caso solleva interrogativi importanti sulla sicurezza e sull’efficacia dei protocolli di trasfusione negli ospedali, nonché sull’importanza della comunicazione tra il personale medico e le famiglie dei pazienti. Ogni errore in ambito sanitario può avere conseguenze tragiche, e il rispetto dei protocolli è essenziale per garantire la sicurezza dei pazienti. Le famiglie, come quella della signora di 77 anni, meritano di ricevere informazioni chiare e tempestive riguardo alla salute dei loro cari.
La vicenda della 77enne di Artena non è solo una storia di dolore e perdita, ma anche un monito per il sistema sanitario, affinché si lavori incessantemente per prevenire simili tragedie in futuro.