Un’operazione di grande portata ha colpito la ‘ndrangheta calabrese, con il blitz dei carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Reggio Calabria che ha portato all’arresto di 26 individui. Tra questi spicca il nome di Giuseppe Piromalli, noto come “Pino” o “Facciazza”, figura storica e controversa della criminalità organizzata a Gioia Tauro. L’inchiesta, denominata “Res Tauro”, ha rivelato un’ampia gamma di reati, tra cui associazione di tipo mafioso, estorsione, riciclaggio e detenzione illegale di armi. Questi crimini sono aggravati dall’uso del metodo mafioso, dimostrando la gravità della situazione.
La figura di Giuseppe Piromalli
La figura di Giuseppe Piromalli è centrale in questa operazione. All’età di 80 anni, Piromalli è tornato alla ribalta dopo aver trascorso 22 anni in regime di carcere duro (41-bis). La sua liberazione nel 2021 ha segnato un punto di svolta significativo per il clan di Gioia Tauro, secondo quanto indicato dalla Direzione Distrettuale Antimafia. Piromalli ha iniziato a tessere una rete di contatti e strategie per ripristinare l’influenza della cosca, che sembrava essere stata indebolita nei precedenti anni a causa dei ripetuti interventi della giustizia.
Durante le intercettazioni, gli inquirenti hanno documentato come Piromalli esprimesse la sua intenzione di riunificare le forze della cosca, paragonando Gioia Tauro a una “tigra”, simbolo di potere e autorità . Queste parole rivelano non solo la sua ambizione ma anche la sua capacità di riorganizzare un’organizzazione complessa in un contesto di crescente repressione. Il nome dell’operazione, “Res Tauro”, riflette l’importanza storica di Gioia Tauro come roccaforte della ‘ndrangheta, un feudo che per decenni ha rappresentato un centro nevralgico per le attività illecite.
Il passato criminale di Piromalli
L’attività criminale di Piromalli non è una novità : il suo passato è costellato di eventi significativi, inclusa una condanna all’ergastolo per l’omicidio del medico Luigi Ioculano, un verdetto poi ribaltato in appello e confermato dalla Cassazione con un’assoluzione. Questo episodio evidenzia la complessità della giustizia in Italia, specialmente in relazione ai reati di mafia, dove le accuse possono spesso cambiare drasticamente nel corso dei procedimenti legali.
La sua vita criminale ha visto un momento cruciale nel 1999, quando fu arrestato dopo sei anni di latitanza. Si nascondeva in un bunker a Gioia Tauro, a testimonianza della sua astuzia e della sua capacità di sfuggire alla cattura. La latitanza di Piromalli si è conclusa in un periodo in cui i clan calabresi stavano ristrutturandosi e cercando di riprendere il controllo su un territorio che sembrava sfuggire loro. La sua figura è stata associata a eventi chiave della storia mafiosa calabrese, inclusa la sua apparizione nelle indagini dell’operazione Hybris nel 2019. In quell’occasione, la DDA ha sostenuto che Piromalli avesse avuto un ruolo significativo nel ripristinare la “commissione” della ‘ndrangheta, un organo decisionale cruciale per le strategie operative dei clan.
Le aspirazioni di Piromalli
La capacità di Piromalli di influenzare le dinamiche mafiose si è manifestata anche attraverso il suo linguaggio e le sue dichiarazioni, dove non ha esitato a definirsi “il padrone di Gioia”. Queste affermazioni non solo rivelano il suo desiderio di dominanza, ma anche il suo intento di riaffermare il controllo su un territorio che, secondo lui, gli apparteneva di diritto. Le intercettazioni hanno rivelato che Piromalli stava cercando di ricostruire alleanze e consolidare il potere del clan, un processo che richiede non solo astuzia ma anche una profonda conoscenza delle dinamiche locali.
Le operazioni come “Res Tauro” mostrano l’impegno delle autorità italiane nel contrastare la mafia e ripristinare la legalità in aree storicamente segnate dalla criminalità organizzata. Tuttavia, l’arresto di figure come Piromalli solleva interrogativi sul futuro della lotta contro la mafia in Calabria e su come affrontare il radicamento di queste organizzazioni nel tessuto sociale ed economico della regione.
La sfida è quella di non solo arrestare i capi mafiosi, ma anche di disarticolare le reti di sostegno che permettono a queste organizzazioni di prosperare. L’inchiesta in corso è una testimonianza della complessità della lotta contro la mafia, che richiede un approccio multidimensionale e un impegno costante da parte delle istituzioni.