La tragica morte di Alex Marangon, un giovane barman di soli 25 anni, ha scosso profondamente la comunità di Treviso, portando alla luce eventi inquietanti legati a un festino sciamanico. Il corpo di Alex è stato rinvenuto su un isolotto nel fiume Piave, il giorno dopo una celebrazione che prometteva un’esperienza trascendentale attraverso l’uso di sostanze psicotrope. A oltre un anno dal ritrovamento, nuovi sviluppi hanno portato all’iscrizione nel registro degli indagati di quattro persone: gli organizzatori dell’evento, Andrea Zuin e Tatiana Marchetto, e due sciamani colombiani, Jhonni Benavides e Sebastian Castillo.
Indagini e accuse
La Procura di Treviso ha avviato un’indagine dettagliata, concentrandosi sull’ipotesi di reato di “morte in conseguenza di altro reato”. L’autopsia ha rivelato che la causa del decesso di Marangon è attribuibile a un mix fatale di ayahuasca e cocaina. L’ayahuasca, una bevanda tradizionale sudamericana nota per i suoi effetti allucinogeni, è vietata in Italia. Gli esperti sostengono che l’assunzione di queste sostanze ha scatenato in Marangon una crisi psicotica, culminata nel suo tuffo dalla terrazza dell’abbazia di Santa Bona a Vidor, un luogo che dovrebbe evocare tranquillità e riflessione.
La versione degli organizzatori
Zuin e Marchetto hanno sempre negato l’uso di ayahuasca durante il festino, sostenendo che la bevanda somministrata agli ospiti fosse una semplice “purga”, una tisana depurativa. Tuttavia, la loro versione è stata messa in discussione dalle evidenze emerse dall’indagine. A seguito della loro decisione di non rilasciare ulteriori dichiarazioni, la procura ha intensificato la raccolta di prove e testimonianze. Nel frattempo, i due curanderos, inizialmente fuggiti, hanno ricevuto una richiesta da parte degli inquirenti per comunicare un indirizzo valido per la notifica dell’indagine, suggerendo una possibile volontà di collaborare.
La ricerca di giustizia
La famiglia di Alex non ha mai smesso di cercare risposte e giustizia. Lo scorso agosto, hanno presentato una querela contro gli indagati, includendo anche Alexandra Diana da Sacco, moglie del proprietario dell’abbazia. Le accuse non si limitano alla morte conseguente a un reato e alla cessione di stupefacenti, ma si spingono fino all’omicidio volontario contro ignoti. La motivazione di tale accusa si basa su una consulenza del medico legale Antonello Cirnelli, che ha evidenziato lesioni sospette sul corpo di Marangon, come un trauma all’occhio e una contusione al costato, che non sarebbero riconducibili alla caduta. Questi dettagli hanno alimentato la tesi della famiglia secondo cui il giovane potrebbe essere stato aggredito prima di morire.
Il caso Marangon ha sollevato interrogativi su come eventi simili possano avvenire sotto la supervisione di presunti esperti e guide spirituali. L’uso di sostanze psicotrope in contesti non regolamentati è un tema controverso e delicato. Mentre alcuni sostenitori delle pratiche sciamaniche affermano che questi rituali possano portare a esperienze di guarigione e crescita personale, eventi tragici come quello di Alex pongono interrogativi etici e legali sull’utilizzo di tali sostanze. Le autorità stanno ora esaminando non solo le responsabilità individuali, ma anche la questione più ampia della sicurezza e della legalità di eventi simili.
Inoltre, la morte di Alex ha spinto la discussione su politiche di controllo delle sostanze e sulla regolamentazione di pratiche che coinvolgono l’uso di sostanze psicotrope. In Italia, il dibattito sull’ayahuasca e altre sostanze simili è in corso, e la necessità di una maggiore chiarezza legislativa diventa sempre più urgente. La questione si estende anche alla protezione dei giovani, sempre più attratti da esperienze che promettono di andare oltre la realtà quotidiana.
La comunità di Treviso e le autorità locali attendono ora sviluppi significativi. La ricerca di giustizia per Alex Marangon continua, mentre il caso rimane aperto e in evoluzione, con la speranza che possano emergere nuove prove e testimoni che possano fare chiarezza su quanto accaduto quella tragica notte. La storia di Alex è diventata un simbolo di una lotta più ampia per la sicurezza e la responsabilità nell’ambito delle pratiche spirituali e del loro impatto sulla vita dei giovani.