Fra le innumerevoli follie perpetrate dal regime nazista, uno degli aspetti più inquietanti è senza dubbio il tentativo di condizionare le menti delle persone anche nel campo culturale. Non si trattava soltanto di una guerra contro l’arte, ma di una vera e propria strategia mirata a definire ciò che era considerato “giusto” e “sbagliato” secondo i principi del totalitarismo. In questo contesto, il docufilm “La grande paura di Hitler – Processo all’arte degenerata” offre un’importante analisi di questo fenomeno, giungendo nelle sale italiane come evento speciale il 3, 4 e 5 novembre 2023.
Il docufilm e la sua produzione
Il film è diretto da Simona Risi, con un soggetto di Didi Gnocchi e una sceneggiatura co-firmata da Sabina Fedeli e Arianna Marelli. La voce narrante è quella di Claudia Catani, che guida lo spettatore attraverso un viaggio nel tempo per esplorare le follie del regime nazista. Prodotto da 3D Produzioni e distribuito da Nexo Studios, il documentario si basa sulla mostra “Arte degenerata” organizzata nel 2025 presso il Musée Picasso di Parigi, dove si è deciso di rievocare gli eventi che segnarono la storia dell’arte durante il periodo nazista.
L’esposizione “Arte degenerata”
Il film ricostruisce in modo dettagliato l’esposizione “Arte degenerata”, che si tenne nel 1937 a Monaco di Baviera, concepita dal regime nazista come un vero e proprio processo di denigrazione dell’arte moderna. Durante quest’esposizione, opere di artisti come:
- Henri Matisse
- Max Beckmann
- Vincent van Gogh
- Otto Dix
- Marc Chagall
- Pablo Picasso
- Amedeo Modigliani
vennero etichettate come “degenerate” e quindi destinate a essere ritirate dai musei, distrutte o esposte in quelle che venivano definite “mostre degli orrori”. Questo atto fu il culmine di una campagna sistematica per cancellare ogni forma di espressione artistica che non si allineasse con l’ideologia nazista.
L’arte come strumento di oppressione
Il docufilm si sofferma anche sull’asta del 30 giugno 1939, che si tenne presso la Galleria Fischer di Lucerna, in Svizzera. In questa occasione, molte opere d’arte “degenerate” vennero vendute e il ricavato finì nelle casse del regime nazista. È un momento cruciale per comprendere come l’arte fosse non solo un obiettivo ideologico, ma anche una fonte di guadagno per il regime. Attraverso testimonianze storiche e materiali d’archivio, il film restituisce la complessità di una situazione in cui l’arte veniva strumentalizzata per fini politici.
Ma l’attacco del nazismo non si limitò alle sole arti visive. La musica, in particolare il jazz e le composizioni atonali, venne anch’essa condannata e censurata. Allo stesso modo, l’architettura moderna, rappresentata dal Bauhaus e dal funzionalismo, subì un feroce attacco. Anche la letteratura non fu risparmiata; opere moderniste e scritti critici nei confronti del regime vennero messi al bando. Questo ampio ventaglio di repressione culturale evidenzia come il regime di Hitler cercasse di controllare ogni aspetto della vita sociale e intellettuale, temendo che il pensiero critico potesse minare la sua autorità.
Riflessioni finali
“La grande paura di Hitler – Processo all’arte degenerata” non è solo un documentario che rievoca eventi storici, ma un’opera che invita a riflettere sulle dinamiche tra potere e cultura. Ancora oggi, in un mondo in cui si assiste a tentativi di censura e omologazione del pensiero, il film offre spunti di riflessione su come l’arte e la creatività possano fungere da baluardi contro l’oppressione e la perdita di libertà. In un contesto globale in cui il dialogo e la diversità sono fondamentali, l’opera di Risi diventa un richiamo potente alla preservazione della cultura e alla valorizzazione delle voci critiche.