La tragica vicenda di Pamela Genini, una giovane di 29 anni uccisa il 3 settembre 2024 a Cervia dal suo ex compagno Gianluca Soncin, ha riacceso il dibattito sulla necessità di un intervento più efficace contro la violenza di genere. Il fratello di Pamela, Nicola Genini, esprime un forte senso di impotenza e indignazione nei confronti di un sistema che, a suo avviso, ha fallito nel proteggere sua sorella. «Se mia sorella poteva essere salvata? Da quello che ho letto sì. Queste sono cose gravi», afferma Nicola, sottolineando quanto sia urgente rivedere le procedure di protezione.
La brutalità dell’aggressione
L’aggressione che ha preceduto la morte di Pamela è stata estremamente violenta. Secondo il racconto di Nicola, la sorella è stata:
- Buttata a terra
- Colpita alla testa con pugni
- Trascinata per i capelli per diversi metri
Questa violenza ha provocato una frattura a un dito della mano destra e graffi su tutto il corpo. Nonostante le ferite, Pamela si è recata il giorno successivo all’ospedale di Seriate per ricevere cure. Tuttavia, la situazione si è complicata ulteriormente. Le informative dei carabinieri che avrebbero dovuto segnalare l’accaduto non sono mai arrivate all’ufficio della procura, sollevando interrogativi sul perché non sia scattato il codice rosso.
L’importanza del codice rosso
Il codice rosso è un provvedimento previsto dalla legge italiana per garantire una risposta immediata in caso di violenza domestica o di genere. Nicola Genini denuncia che, nonostante la gravità della situazione, non è stata applicata la procedura antiviolenza. «Era da denunciare. Se non l’ha fatto mia sorella, dovevano farlo loro», sottolinea il fratello, evidenziando un possibile corto circuito nel sistema di protezione.
La procura di Bergamo, rappresentata dal procuratore Maurizio Romanelli, ha deciso di approfondire la questione. Secondo quanto riportato dal Corriere, non si esclude l’apertura di un fascicolo a modello 45, per indagare su eventuali profili di reato.
Le lacune nel sistema di protezione
Il procuratore di Ravenna, Daniele Barberini, ha escluso omissioni da parte delle forze dell’ordine, sostenendo che la lite avvenuta a Cervia non aveva risvolti penali evidenti. Pamela, in quel frangente, non volle recarsi in ospedale e non denunciò l’accaduto, fattori che hanno contribuito a non attivare il codice rosso. «Non era un codice rosso, non era necessario avvertire il pm», ha dichiarato Barberini, evidenziando che la giovane e il suo aggressore non erano conviventi.
Dopo il suo accesso in ospedale, i carabinieri di Cervia hanno ricevuto una segnalazione per la verifica delle armi, ma la situazione ha continuato a complicarsi. Da Ravenna spiegano che era essenziale ascoltare la persona offesa, ma Pamela non si è presentata, portando a una mancanza di presupposti per ipotizzare maltrattamenti, nonostante il contesto di violenza.
La tragica morte di Pamela Genini ha sollevato interrogativi non solo sulla gestione dei casi di violenza domestica, ma anche sulla necessità di una maggiore sensibilizzazione e formazione da parte delle istituzioni. La società italiana si trova di fronte a una sfida significativa: come garantire la sicurezza delle donne e prevenire situazioni fatali come quella vissuta da Pamela?
È evidente che la strada da percorrere è lunga e complessa. Ogni episodio di violenza deve essere affrontato con la massima serietà e urgenza, per evitare che altre vite vengano spezzate. La storia di Pamela Genini deve servire da monito e stimolo per un cambiamento culturale e normativo che possa finalmente garantire una protezione adeguata a tutte le donne vittime di violenza.