Milano, 10 giugno 2024 – Soufiane Ech Chafiy, vent’anni, è morto la notte del 24 marzo 2016 a Vigevano, colpito alla schiena da un proiettile sparato da un poliziotto durante un inseguimento. Le telecamere di sorveglianza hanno ripreso la scena: il giovane a terra, agonizzante, mentre i due agenti si avvicinano. Uno di loro si allontana e urina a pochi passi dal corpo. I soccorsi arriveranno solo dopo 23 minuti. Nonostante molte stranezze, il caso si è chiuso con un’archiviazione che, per il giudice delle indagini preliminari, lascia “perplessità non fugate”. Sullo sfondo emerge il cosiddetto “Sistema Pavia”, una rete di favori e legami che avrebbe influenzato anche altre inchieste delicate, come quella sul delitto di Garlasco.
La fuga, i colpi e la tragedia
Quella notte, poco dopo l’una, una BMW con tre ragazzi a bordo tenta di seminare una volante della polizia. Gli agenti dicono che uno dei giovani avrebbe sparato dall’auto, ma il gip Fabio Lambertucci ha definito questa versione “assolutamente da escludere”. L’inseguimento si ferma vicino ad Abbiategrasso: il poliziotto David C. spara quattro colpi contro l’auto in corsa, poi altri due dopo che la macchina si era fermata. Gli agenti sostengono che i ragazzi fossero armati, ma nessuna arma è mai stata trovata e, secondo il giudice, non è mai esistita.
Soufiane viene colpito alla schiena. Esce dall’auto barcollando, fa qualche passo come per chiedere aiuto, poi cade a terra. Le telecamere mostrano i due poliziotti che gli puntano le torce addosso. Uno di loro si allontana e urina a pochi metri dal ragazzo ferito. I soccorsi arrivano alle 2.34, ben ventitré minuti dopo l’arrivo degli agenti. Soufiane morirà alle sei del mattino. Il medico legale parlerà di “ritardi nei soccorsi”.
Un’archiviazione che lascia dubbi
Il procedimento penale inizia con l’ipotesi di eccesso colposo di legittima difesa contro il poliziotto David C. Nell’ottobre 2016, il pm Roberto Valli chiede l’archiviazione. Il gip Lambertucci la respinge e ordina ulteriori accertamenti. Poi, il 22 dicembre, arriva la decisione finale: archiviazione, nonostante la versione degli agenti venga definita “non attendibile se non inventata”. L’arma dei fuggitivi non è mai stata trovata. “Non si può arrivare a una condanna per eccesso colposo, anche se la vittima disarmata è stata uccisa da un colpo sparato alle spalle”, scrive il giudice.
I legali della famiglia Ech Chafiy hanno chiesto di riaprire il caso. In un documento di dieci pagine segnalano l’assenza di una perizia balistica, la demolizione della BMW senza ulteriori verifiche e l’inattendibilità di un testimone ascoltato dagli agenti. “Ci sono troppe anomalie”, spiegano gli avvocati, “che meritano una risposta”.
Il “Sistema Pavia” e gli intrecci con Garlasco
Perché si parla di “Sistema Pavia”? Secondo gli inquirenti di Brescia, dietro l’archiviazione lampo ci sarebbe una rete di rapporti tra magistrati, polizia giudiziaria e imprenditori che avrebbe condizionato diverse indagini nella provincia pavese tra il 2014 e il 2021. In quegli anni, la procura era guidata da Mario Venditti, oggi indagato per peculato e al centro di vari accertamenti.
Nel caso di Soufiane spuntano nomi già noti: il pm Valli e il gip Lambertucci, gli stessi che si occuparono delle prime indagini sul delitto di Garlasco, in particolare sulla posizione di Andrea Sempio. Anche lì, secondo la procura di Brescia, sarebbero emersi favori incrociati e decisioni poco trasparenti. Su Lambertucci sono in corso controlli bancari per verificare eventuali movimenti sospetti di denaro.
La famiglia vuole verità e giustizia
A otto anni da quei fatti, la famiglia Ech Chafiy non si arrende. I legali hanno presentato nuove richieste per riaprire il fascicolo: “Non possiamo accettare che un ragazzo venga ucciso senza che si faccia piena luce”, dice uno degli avvocati. La madre di Soufiane ha chiesto giustizia più volte: “Voglio sapere cosa è davvero successo quella notte”.
Ora spetta al procuratore di Pavia, Fabio Napoleone, decidere se ci sono nuovi elementi per riaprire le indagini. Intanto, il video delle telecamere resta agli atti: immagini dure che raccontano una morte senza risposte certe e che continuano ad alimentare dubbi su come sia stata gestita la giustizia in quegli anni nella provincia pavese.
