Roma, 3 novembre 2025 – L’Italia resta solida quando si parla di brevetti in settori tradizionali come la meccanica e i trasporti, ma arranca nelle nuove tecnologie: digitale, biotech e soprattutto nell’Intelligenza Artificiale. È questa la fotografia che emerge dalla quinta edizione della Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia, presentata oggi al Consiglio Nazionale delle Ricerche, in via dei Taurini. Un quadro che, tra numeri e riflessioni, mette in evidenza anche la fuga all’estero delle grandi aziende italiane, con un impatto diretto sulla crescente dipendenza da brevetti controllati da gruppi stranieri.
Italia e brevetti: forte nei settori storici, in ritardo sull’innovazione
Il rapporto, nato dalla collaborazione tra tre istituti del CNR e l’Area Studi Mediobanca, mostra che l’Italia tiene banco soprattutto nei brevetti legati alla meccanica e ai trasporti. “La nostra industria resta competitiva dove la tradizione è radicata”, ha spiegato uno dei ricercatori. “Ma fatichiamo a spingerci avanti nei settori che oggi guidano la crescita globale”.
I dati analizzati riguardano i brevetti depositati all’Ufficio Brevetti e Marchi degli Stati Uniti dal 2002 al 2022. In vent’anni, l’Italia ha mantenuto una performance stabile solo nei comparti tradizionali. Nei settori più innovativi – dal digitale al biotech fino all’Intelligenza Artificiale – la crescita è stata molto più lenta rispetto ai principali concorrenti europei.
Fuga delle imprese e dipendenza dall’estero: un problema che cresce
A preoccupare gli esperti è soprattutto la tendenza delle grandi imprese italiane a spostare all’estero la loro ricerca e sviluppo. Negli ultimi anni questo fenomeno si è accentuato. “Le multinazionali italiane spesso scelgono di brevettare fuori dai confini nazionali”, ha ammesso un dirigente dell’Area Studi Mediobanca. Il risultato? Un numero sempre maggiore di brevetti italiani finisce nelle mani di soggetti stranieri, indebolendo la sovranità tecnologica del Paese.
Il rapporto sottolinea come questa situazione rischi di indebolire ancora di più il tessuto produttivo nazionale. “Se le idee migliori vengono sviluppate e protette altrove”, avverte uno degli autori, “l’Italia perde non solo competitività, ma anche la capacità di attirare investimenti”.
Italia in affanno tra i big europei
Nel confronto europeo, il ritardo italiano si fa ancora più evidente. Tra il 2002 e il 2012, l’Italia ha registrato insieme alla Germania la crescita più bassa nei brevetti. E il trend non si è invertito nel decennio successivo. Guardando ai brevetti pro-capite, la Svizzera guida la classifica, seguita da Svezia e – dal 2022 – dalla Danimarca, che sta emergendo come nuovo centro dell’innovazione.
Tra i grandi Paesi europei, l’Italia supera solo la Spagna per numero di brevetti pro-capite. Un dato che conferma le difficoltà strutturali del nostro sistema nel promuovere la ricerca applicata e nel proteggere la proprietà intellettuale.
Investimenti bassi e burocrazia: le cause del ritardo
Gli esperti del CNR indicano diverse ragioni dietro questo ritardo. Prima di tutto, gli investimenti pubblici e privati in ricerca restano più bassi rispetto a quelli dei principali partner europei. Poi c’è il problema della burocrazia. “Registrare un brevetto in Italia è ancora un percorso pieno di ostacoli”, ha raccontato un imprenditore presente alla presentazione.
Infine, pesa anche la scarsa collaborazione tra università e imprese. “Serve un sistema più vivo e dinamico”, ha suggerito uno dei relatori. “Uno che sappia valorizzare le competenze e trattenere i talenti”.
Innovare per non restare indietro
La Relazione lancia un chiaro monito sulle strategie future. Senza un cambio di passo su investimenti, formazione e collaborazione tra pubblico e privato, l’Italia rischia di rimanere ai margini delle grandi trasformazioni tecnologiche in corso. “Non basta difendere ciò che abbiamo già conquistato”, ha concluso uno degli autori. “Bisogna puntare sull’innovazione per assicurare crescita e posti di lavoro nei prossimi anni”.
 