Milano, 5 novembre 2025 – Alessia Pifferi è stata condannata a 24 anni di carcere per l’omicidio volontario della figlia Diana, morta di stenti nell’appartamento di via Parea, a Milano, nel luglio 2022. La sentenza è arrivata oggi dalla Corte d’Assise d’appello di Milano, che ha ridotto la pena rispetto all’ergastolo deciso in primo grado. I giudici hanno riconosciuto le attenuanti generiche, bilanciandole con l’unica aggravante rimasta: il legame di parentela con la vittima.
La sentenza che accorcia la pena
La Corte, guidata dal presidente Giovanni Rossi, ha escluso l’aggravante dei futili motivi, già dibattuta nel primo processo. La premeditazione era stata scartata fin dall’inizio. Poco dopo le 13, in aula si è respirata una tensione palpabile durante la lettura della sentenza. Alessia Pifferi, 38 anni, era seduta accanto ai suoi avvocati, con lo sguardo rivolto verso il basso e le mani intrecciate sulle ginocchia. Nessuna reazione visibile quando è stata pronunciata la condanna.
Gli inquirenti, confermati anche dai giudici, hanno ricostruito come la donna avesse lasciato la piccola Diana, di appena 18 mesi, da sola in casa per sei giorni di fila. Al suo rientro, il 20 luglio 2022, ha trovato la bambina senza vita. L’autopsia ha stabilito che la causa del decesso è stata disidratazione e denutrizione.
Perché è stata ridotta la pena
La Corte d’appello ha deciso di ridurre la pena riconoscendo le attenuanti generiche, che hanno compensato l’unica aggravante rimasta: il rapporto madre-figlia. I giudici non hanno trovato prove di futili motivi, giudicando assente una crudeltà particolare o un movente spregevole dietro al gesto. La premeditazione, esclusa in primo grado, non è mai stata confermata dagli inquirenti.
Il procuratore generale aveva chiesto di confermare l’ergastolo, sottolineando la gravità del fatto e il totale mancato pentimento di Alessia Pifferi. La difesa, invece, ha puntato sulla fragilità psicologica della donna e sulle sue condizioni personali al momento dell’accaduto.
Le reazioni in famiglia
All’uscita dall’aula, la madre di Alessia, Maria Assandri, ha scelto di non parlare: “È mia figlia anche lei. Non me la sento di commentare”, ha detto ai giornalisti in attesa nel corridoio del tribunale. Più netta la sorella Viviana: “Ventiquattro anni sono pochi per una cosa così orribile”, ha dichiarato con voce ferma, visibilmente scossa.
L’avvocato della famiglia Pifferi, Emanuele De Mitri, si è detto insoddisfatto per la pena: “Da parte nostra, 24 anni sono pochi”, ha spiegato ai cronisti. “L’unica cosa certa è che la Corte ha confermato si tratta di omicidio volontario. Avrei davvero temuto un colpo più duro se fosse stata riconosciuta una colpa minore o una derubricazione”.
Un caso che ha scosso l’opinione pubblica
Il caso Pifferi ha fatto molto rumore nell’estate del 2022, sia a Milano che in tutta Italia. Tutto è venuto alla luce dopo che Alessia stessa ha chiamato il 112, raccontando di aver trovato la figlia senza vita nel lettino. Ma i carabinieri hanno subito notato gravi omissioni e contraddizioni nelle sue parole.
Durante il processo sono venuti fuori dettagli sulla solitudine e le difficoltà personali di Alessia. Ma i giudici hanno sempre ritenuto che lei fosse consapevole delle conseguenze. “Sapeva che lasciando la bambina sola per giorni avrebbe potuto causarne la morte”, si leggeva già nelle motivazioni della sentenza di primo grado.
Cosa succederà ora
La difesa di Alessia Pifferi ha già annunciato l’intenzione di fare ricorso in Cassazione. L’avvocato Luca D’Auria ha spiegato che “ci sono ancora molte cose da chiarire”, soprattutto sulla capacità di intendere e volere della donna al momento del fatto.
Intanto, Alessia resta in carcere a San Vittore. Il caso continua a sollevare domande sulle fragilità sociali e sulle responsabilità individuali nei casi di abbandono di minori. Il dibattito resta aperto, mentre la giustizia va avanti, tra aule silenziose e famiglie spezzate dal dolore.
