Roma, 5 novembre 2025 – L’Italia dei brevetti tiene ancora banco nei settori tradizionali come la meccanica e i trasporti, ma arranca quando si parla di tecnologie emergenti: digitale, biotech, Intelligenza Artificiale. A complicare le cose c’è la tendenza delle grandi aziende italiane a spostare all’estero le loro attività di ricerca e sviluppo. Il risultato? Il Paese si ritrova sempre più dipendente da brevetti in mano a soggetti stranieri. È quanto emerge dalla quinta edizione della Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia, presentata oggi a Roma, frutto del lavoro congiunto di tre istituti del Consiglio Nazionale delle Ricerche e dell’Area Studi Mediobanca.
Italia in affanno nelle nuove tecnologie
Il rapporto, che ha passato al setaccio i dati dei brevetti depositati all’Ufficio Brevetti e Marchi degli Stati Uniti dal 2002 al 2022, mostra un’Italia con una crescita fiacca rispetto agli altri grandi Paesi europei. “Siamo ancora forti in settori dove l’innovazione globale non corre così veloce”, spiega uno degli autori della ricerca, citando in particolare l’imballaggio e il trasporto. Nel decennio 2002-2012, l’Italia ha avuto insieme alla Germania la crescita più bassa. E nel decennio successivo non è cambiato molto.
Il confronto con l’estero è impietoso: nel 2022, la Svizzera guida la classifica per brevetti pro-capite, seguita da Svezia e, novità degli ultimi anni, Danimarca. L’Italia resta dietro quasi a tutti, superando solo la Spagna tra i grandi Paesi europei. “Non riusciamo a entrare nei mercati che stanno crescendo di più”, ammette un ricercatore del CNR, sottolineando come la quota italiana nei settori digitali sia rimasta ferma o addirittura calata, mentre altrove è esplosa.
Fuga all’estero e dipendenza crescente
Un altro campanello d’allarme arriva dalla crescente fuga all’estero delle grandi imprese italiane. Molte preferiscono registrare i brevetti fuori dall’Italia o addirittura spostare lì le attività di ricerca. La conseguenza è un aumento della dipendenza da tecnologie brevettate da soggetti stranieri, con ricadute pesanti sia sul piano economico che strategico.
“Il rischio è perdere il controllo sulle innovazioni più importanti”, avverte un analista dell’Area Studi Mediobanca. “Così il sistema produttivo italiano diventa più fragile e meno competitivo”. Il problema non riguarda solo le grandi multinazionali: anche le medie imprese innovative faticano a trovare qui le condizioni giuste per investire.
Università e centri di ricerca: le note positive
Non mancano però segnali incoraggianti. Negli ultimi anni, università e centri di ricerca pubblici hanno preso un ruolo sempre più importante nel campo dei brevetti, soprattutto nei settori più avanzati. Il Politecnico di Milano si conferma l’ateneo con il maggior numero di brevetti registrati negli Stati Uniti, mostrando una crescita significativa nel periodo analizzato.
Seguono il Consiglio Nazionale delle Ricerche, l’Università di Bari, l’Università di Bologna e la Sapienza di Roma. “Le università stanno diventando veri motori dell’innovazione”, dice uno dei coordinatori della Relazione. “Ma serve un sistema più unito tra pubblico e privato per recuperare terreno rispetto ai Paesi più avanti”.
Il futuro è una sfida aperta
Il quadro disegnato dal rapporto invita a riflettere sulle mosse necessarie per rilanciare l’Italia nei settori tecnologici più avanzati. Gli esperti suggeriscono di rafforzare i legami tra ricerca pubblica e imprese, spingere gli investimenti in innovazione e favorire il rientro delle competenze dall’estero.
“Ci vuole una visione di lungo periodo”, conclude un docente del Politecnico di Milano. “Solo così potremo tornare a essere protagonisti nelle tecnologie che stanno cambiando il mondo”. Per ora, mentre si attendono segnali concreti da politica e imprese, l’Italia resta aggrappata alle sue eccellenze storiche ma rischia di perdere il treno dell’innovazione globale.
