La vendetta dei familiari: un episodio scioccante a Moncalieri

La vendetta dei familiari: un episodio scioccante a Moncalieri

La vendetta dei familiari: un episodio scioccante a Moncalieri

Matteo Rigamonti

Novembre 5, 2025

Moncalieri, 5 novembre 2025 – Un quindicenne di Moncalieri è stato sequestrato e torturato da alcuni suoi coetanei, compagni di scuola, nella serata di venerdì scorso. L’episodio, avvenuto in una zona residenziale ai margini di Torino, ha scosso profondamente la comunità e riacceso il dibattito sulle responsabilità di famiglie e istituzioni. Secondo gli investigatori, la vittima – un ragazzo fragile, con problemi a scuola – è stata attirata con un pretesto, chiusa in uno sgabuzzino e sottoposta a violenze fisiche e psicologiche per ore.

Sequestrato e torturato dai compagni: la dinamica dell’orrore

Le prime indagini della Procura per i Minorenni di Torino, guidata da Emma Avezzù, parlano di un’aggressione messa in atto da almeno due ragazzi della stessa scuola, con la complicità di una ragazza. “Una vera e propria sopraffazione”, ha detto la procuratrice, evidenziando la gravità della situazione. La madre della vittima ha inoltre denunciato una possibile violenza sessuale, che gli inquirenti stanno ancora accertando. Tra le sevizie subite, ci sono una sigaretta spenta sul corpo e il taglio dei capelli a zero. La famiglia riferisce anche che il ragazzo sarebbe stato gettato nel fiume Po.

Lo sgabuzzino, la baby gang e le minacce sui social

Il luogo dove il ragazzo è stato tenuto prigioniero è uno sgabuzzino, dove è rimasto chiuso per ore. È quanto emerge dalle testimonianze raccolte dai carabinieri e dalle fonti investigative. Gli aggressori fanno parte di una cosiddetta “baby gang”, formata da adolescenti italiani provenienti da famiglie del ceto medio. “Non hanno nulla a che vedere con i ‘maranza’ di cui si parla spesso sui giornali”, ha precisato la procuratrice Avezzù. Dopo l’aggressione, la vicenda è approdata anche sui social: alcuni membri del gruppo hanno pubblicato messaggi minacciosi contro uno dei torturatori, accusandolo di essere un “pentito” e invitando altri a “beccarli per un confronto”.

La notte della tensione: la reazione dei parenti sotto casa degli aggressori

Tra sabato e domenica la situazione è degenerata. Una cinquantina di parenti e amici della vittima si sono radunati davanti alle case dei presunti responsabili a Moncalieri. Tra loro sono circolate minacce pesanti: “Avete finito di vivere”, si legge in uno dei messaggi. Solo a quel punto, forse, i ragazzi coinvolti hanno capito la gravità delle loro azioni. “Erano in tre contro uno”, ha ricordato la procuratrice Avezzù. Nella stessa notte, i video girati durante l’aggressione – almeno quattro secondo gli investigatori – sono stati cancellati dagli stessi autori, probabilmente per nascondere le prove o per paura delle conseguenze.

Tutti italiani, famiglie del ceto medio: nessun legame con l’immigrazione

I protagonisti della vicenda, sia la vittima che gli aggressori, sono italiani e non provengono da famiglie immigrate, né di prima né di seconda generazione. Un dettaglio che gli investigatori sottolineano per evitare facili generalizzazioni. “Tutti vengono da famiglie del ceto medio”, ha spiegato un carabiniere coinvolto nelle indagini. Il sindaco di Moncalieri, Paolo Montagna, conosce bene la famiglia della vittima: “Era seguita dai servizi sociali da tempo”, ha detto. Montagna ha parlato di “una guerra tra poveri”, una lotta tra fragilità diverse che sfocia in episodi di violenza.

Istituzioni e famiglie: serve un nuovo patto per fermare la violenza

“Serve un patto nuovo tra scuola, famiglie e istituzioni”, ha detto il sindaco Montagna nelle ore successive all’accaduto. Il primo cittadino ha espresso preoccupazione per quanto successo e ha sottolineato l’urgenza di “alzare l’argine” contro la violenza tra adolescenti. La Procura per i Minorenni continua a indagare per chiarire ogni dettaglio, mentre Moncalieri resta sotto choc. Davanti alla scuola frequentata dai ragazzi coinvolti, si respira un clima teso: genitori preoccupati, insegnanti in cerca di risposte e ragazzi che evitano i cronisti.

Solo nei prossimi giorni si capirà se emergeranno altre responsabilità o se ci saranno nuovi coinvolgimenti. Nel frattempo resta il senso di smarrimento per una violenza consumata tra mura domestiche e chat di gruppo, senza che nessuno – almeno fino all’intervento dei parenti – sia riuscito a fermarla.