Roma, 6 novembre 2025 – L’intelligenza artificiale potrebbe far crescere il Pil italiano fino al 18%. Ma senza un investimento serio sulle competenze, rischiamo di rimanere indietro rispetto a Stati Uniti e Cina. Lo ha detto chiaramente questa mattina Andrea Rossi, amministratore delegato e direttore generale dell’Università Campus Bio-Medico di Roma (Ucbm), intervenendo al convegno “Future skills – Capitale umano e AI per il lavoro che cambia. Dove formazione e impresa si incontrano”, organizzato da Unindustria insieme a Ucbm nella sede romana dell’associazione.
Università e imprese: un legame che fa la differenza
Il rapporto tra università e imprese non è una novità per il Campus Bio-Medico. “Da oltre vent’anni lavoriamo in questa direzione”, ha raccontato Rossi, spiegando che la partecipazione all’evento è la naturale conseguenza di questa strada. “Siamo qui proprio per questo”, ha aggiunto, sottolineando che il dialogo tra mondo accademico e aziende è una chiave fondamentale per affrontare i cambiamenti in corso.
La domanda di profili specializzati in intelligenza artificiale è esplosa negli ultimi anni. Ma, secondo Rossi, il vero problema non è la tecnologia, bensì il cosiddetto “collo di bottiglia” del capitale umano. “Semplicemente, mancano le competenze”, ha detto senza mezzi termini. E la difficoltà non riguarda solo i giovani che escono dall’università, ma anche milioni di lavoratori già attivi sul mercato.
La sfida delle competenze nell’era dell’AI
I dati presentati al convegno mostrano che l’Europa investe meno di Stati Uniti e Cina nello sviluppo dell’intelligenza artificiale. Il rischio, ha avvertito Rossi, è di perdere terreno nel mondo proprio a causa della carenza di figure preparate. “Serve un’azione coordinata tra università, imprese e istituzioni”, ha ribadito il numero uno di Ucbm.
L’obiettivo è chiaro: formare laureati pronti a rispondere alle sfide di oggi e domani. Ma non basta. “Come accademia, dobbiamo anche aggiornare e riqualificare chi lavora già”, ha spiegato Rossi. Secondo le stime citate, sono oltre 4 milioni i lavoratori italiani che avrebbero bisogno di un aggiornamento per non restare tagliati fuori dalla rivoluzione digitale.
Formazione continua: la chiave per non restare indietro
La formazione continua è stata il cuore del dibattito. Più volte è emerso come la rapidità dei cambiamenti legati all’AI renda indispensabile un aggiornamento costante delle competenze. “Serve un patto tra università, imprese e istituzioni”, ha sottolineato Rossi, richiamando anche il ruolo delle politiche pubbliche.
Da più parti è arrivato il messaggio: non si può più pensare alla formazione come a un percorso che si chiude con la laurea o il diploma. “Bisogna puntare su programmi di riqualificazione e aggiornamento”, ha detto un dirigente di Unindustria presente in sala. Solo così si può colmare il divario che separa l’Italia dai principali concorrenti internazionali.
Il peso delle aziende nella formazione
Le imprese, da parte loro, sembrano ben consapevoli dell’importanza del tema. Alcuni rappresentanti del settore privato hanno raccontato esperienze concrete di collaborazione con università e centri di ricerca. “Abbiamo bisogno di giovani preparati, ma anche di aggiornare chi è già in azienda”, ha confidato un manager del settore tecnologico romano.
La sfida coinvolge tutti: università chiamate a rinnovare i corsi, aziende pronte a investire sul capitale umano, istituzioni che sostengano il tutto con politiche mirate. Solo così – è stato ripetuto più volte – l’Italia potrà davvero sfruttare le opportunità offerte dall’intelligenza artificiale.
Il futuro si costruisce adesso
Il convegno si è chiuso con un messaggio chiaro: senza un piano condiviso su formazione e competenze, la rivoluzione dell’AI rischia di lasciare indietro una parte importante del Paese. “Dobbiamo lavorare insieme”, ha concluso Rossi, “perché il futuro del lavoro si gioca oggi, tra università e imprese”. Un appello forte, che invita a non perdere altro tempo.
