Roma, 7 novembre 2025 – Anna Laura Braghetti, ex militante delle Brigate Rosse e figura chiave nel sequestro di Aldo Moro, si è spenta ieri a 72 anni dopo una lunga malattia. La notizia è stata data dalla famiglia, che ha deciso per funerali in forma privata. Braghetti, nata a Roma nel 1953, è ricordata soprattutto per aver comprato l’appartamento di via Montalcini dove il presidente della Democrazia Cristiana fu tenuto prigioniero per 55 giorni, tra marzo e maggio 1978.
Quel covo segreto e il suo ruolo decisivo
Aveva appena 24 anni quando le Brigate Rosse la scelsero per intestarsi la casa di via Montalcini 8, nel quartiere Magliana, destinata a diventare il rifugio di Moro. Un incarico apparentemente di poco conto, ma che si rivelò cruciale. Braghetti aveva un aspetto comune, niente di particolare, e già lavorava: secondo le indagini, era la candidata ideale per non attirare attenzioni. L’appartamento fu acquistato per 45 milioni di lire, soldi messi insieme con il riscatto di un precedente rapimento, quello dell’armatore genovese Pietro Costa. A completare la messa in scena, fu creata la figura dell’“ingegner Altobelli”, un finto convivente che in realtà era Germano Maccari, altro membro delle Brigate Rosse.
In quel nascondiglio, dal 16 marzo al 9 maggio 1978, Aldo Moro trascorse gli ultimi giorni della sua vita. Anni dopo, Braghetti raccontò nel libro “Il prigioniero” l’arrivo di Moro: «“Presidente”, sentii dire da Mario con estrema cortesia: “ha capito chi siamo”. “Ho capito chi siete”, rispose Moro». Un momento che racconta la tensione e il gelo di quelle settimane.
Dalla fuga alle azioni violente
Dopo l’uccisione di Moro, Braghetti sparì nella clandestinità. Negli anni seguenti partecipò ad altri attacchi armati. Il 3 maggio 1979, durante un assalto alla sede della Democrazia Cristiana in piazza Nicosia a Roma, fu lei – insieme a Francesco Piccioni – ad aprire il fuoco contro la polizia. In quell’episodio persero la vita gli agenti Antonio Mea e Piero Ollanu. Una delle pagine più nere della lotta armata in Italia.
Meno di un anno dopo, il 12 febbraio 1980, Braghetti fu coinvolta nell’omicidio del giudice Vittorio Bachelet, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura. Secondo le sentenze, fu lei a sparare per prima nell’atrio dell’Università La Sapienza. La sua latitanza terminò il 27 maggio 1980, quando venne arrestata.
Carcere, condanna e nuova vita
Condannata all’ergastolo, Braghetti passò oltre vent’anni dietro le sbarre. Nel 1981 sposò Prospero Gallinari, anche lui brigatista e protagonista del sequestro Moro, ma il matrimonio finì con una separazione. Nel 2002 ottenne la liberazione condizionale e iniziò a dedicarsi a un percorso di impegno sociale, collaborando con associazioni che si occupano del reinserimento dei detenuti e della memoria degli anni di piombo.
Negli ultimi anni aveva scelto di vivere lontano dai riflettori, in modo discreto. La famiglia ha annunciato la sua scomparsa con poche parole: «Ci ha lasciati la nostra cara Anna Laura, circondata dall’amore dei famigliari e degli amici. I funerali si svolgeranno in forma strettamente riservata. La sua comunità degli affetti». Al momento nessuna reazione pubblica da parte delle istituzioni o delle associazioni delle vittime del terrorismo.
Una storia segnata dalla violenza e dalla complessità
Il nome di Anna Laura Braghetti rimane legato agli anni più difficili della storia italiana recente. È un volto che richiama subito il sequestro Moro e gli omicidi che hanno segnato la strategia della tensione. Negli ultimi decenni, però, ha cercato di raccontare la sua esperienza anche attraverso libri e incontri pubblici, senza mai negare le proprie responsabilità ma provando a dare un volto più sfaccettato a quegli anni di violenza e ideologia.
Con la sua morte si chiude un altro capitolo della stagione delle Brigate Rosse. Restano aperte le ferite di quegli anni e le domande senza risposta su un periodo che ha segnato profondamente il Paese.
