Ricerca in Italia: solo il 44% dei fondi Pnrr spesi, cosa significa per il futuro?

Ricerca in Italia: solo il 44% dei fondi Pnrr spesi, cosa significa per il futuro?

Ricerca in Italia: solo il 44% dei fondi Pnrr spesi, cosa significa per il futuro?

Giada Liguori

Novembre 7, 2025

Roma, 7 novembre 2025 – Solo il 44% degli 8,5 miliardi di euro messi a disposizione dal Pnrr per rafforzare il trasferimento tecnologico tra università, enti di ricerca e imprese è stato effettivamente speso nel periodo che va dal 9 novembre 2022 al 20 maggio 2025. È questo il quadro che emerge dalla quinta edizione della Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia, presentata oggi a Roma. Il rapporto è stato realizzato da tre istituti del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) con il contributo dell’Area Studi Mediobanca.

Pnrr, fondi a metà: la gran parte va al personale

Secondo il rapporto, meno della metà dei fondi stanziati per il trasferimento tecnologico è stata utilizzata finora. La fetta più grande – circa il 60% – è servita per assumere personale: sono entrati nel mondo della ricerca pubblica e privata oltre 12mila nuovi ricercatori, di cui il 47% donne. Un dato che, come sottolinea uno degli autori, è importante perché “la crescita del capitale umano resta la leva principale per l’innovazione”. Tuttavia, la spesa reale è ancora lontana dagli obiettivi fissati.

Digitale e aerospazio guidano i finanziamenti

Il settore che ha incassato più risorse è quello della transizione digitale e dell’aerospazio, con il 30,3% dei finanziamenti. Subito dopo ci sono il clima e l’energia, con il 20,6%. “Sono settori dove la domanda di innovazione è più alta e dove si concentrano le iniziative principali”, spiega un ricercatore del Cnr. Va detto però che la rendicontazione delle spese non è ancora chiusa: il termine per presentare i conti è fissato al 31 dicembre 2026. Gli autori del rapporto sottolineano che “è normale che una buona parte delle spese venga registrata negli ultimi mesi”.

Il Sud spende meno ma assume di più

La relazione mette in evidenza un netto divario territoriale: nel Centro-Nord la quota di spesa rendicontata arriva al 68,7%, mentre nel Sud si ferma al 31,3%. Eppure, è proprio il Mezzogiorno a segnare il rapporto più alto tra nuove assunzioni e addetti totali alla ricerca: una media del 4,1%, che sale al 5,6% nelle isole, contro il 2% del Nord e il 2,5% del Centro. “Questo significa che l’investimento ha contribuito almeno in parte a ridurre il divario occupazionale”, osserva uno degli analisti dello studio.

Sicilia in testa, Marche e Valle d’Aosta fanalino di coda

Tra le regioni, la Sicilia guida con 12 iniziative attive, seguita da Campania, Lazio e Lombardia con 9 ciascuna. In fondo alla classifica si trovano Marche, Molise, Umbria e Valle d’Aosta, dove non risultano iniziative attive; in Basilicata e Calabria ce n’è solo una. Un quadro a macchia di leopardo che riflette le storiche differenze nella capacità di mettere in campo progetti e gestire i fondi.

Bandi a cascata e il nodo della sostenibilità

Oltre alle assunzioni, una parte consistente dei finanziamenti è stata destinata ai cosiddetti bandi a cascata: ne sono stati emessi 424, per un valore complessivo di circa 822 milioni di euro. L’obiettivo è distribuire risorse alle imprese e spingere l’innovazione diffusa. Ma il rapporto solleva dubbi sulla tenuta del modello una volta finito il Pnrr. “Gran parte delle assunzioni sono a tempo determinato”, si legge, “e non ci sono misure strutturali per garantire la continuità del lavoro né nel pubblico né nel privato”.

Dopo il Pnrr serve una strategia chiara

Il vero problema resta la continuità: senza nuovi fondi o interventi strutturali, molti risultati rischiano di durare poco. “Serve una strategia nazionale per consolidare i progressi fatti”, ha detto uno degli autori durante la presentazione a Roma. Solo così si capirà se l’investimento ha davvero lasciato un segno duraturo nel sistema della ricerca italiana.