Roma, 10 novembre 2025 – La Cassazione ha deciso che un giudice che accumula ritardi nel gestire gli atti arretrati deve essere punito in base al tempo perso. Ha così respinto il ricorso di una magistrata contro una sanzione del Consiglio superiore della magistratura. La storia, che si è svolta tra il 2016 e il 2021, riguarda un lungo elenco di ritardi nella scrittura di sentenze e ordinanze, con depositi spesso tre volte più lunghi dei termini di legge.
Cassazione: sanzioni più severe per i giudici in ritardo
Secondo la sentenza, citata anche da Il Messaggero, la giudice era stata punita con due mesi di decurtazione dell’anzianità di servizio dal Csm perché non rispettava i tempi per depositare gli atti. In particolare, ordinanze e sentenze civili affidate a lei erano ferme molto oltre i limiti stabiliti dalla legge. La Cassazione ha confermato la linea dura del Csm: “Non basta come scusa il carico di lavoro pesante o la mancanza di personale”, si legge nel provvedimento, “perché il magistrato deve comunque riuscire a organizzarsi meglio per evitare ritardi”.
Una presa di posizione chiara, che punta a rafforzare il principio della responsabilità personale nella gestione dei casi giudiziari. “Il magistrato – spiegano gli Ermellini – deve rispondere del proprio dovere di lavorare con impegno e puntualità, anche se ci sono difficoltà nell’organizzazione”. Solo in casi eccezionali, e se ben documentati, si possono valutare attenuanti.
Ritardi record: i numeri del caso
La sezione disciplinare del Csm ha scoperto che oltre l’80% degli atti depositati dalla giudice nel periodo controllato presentava ritardi ben oltre i limiti di legge. In alcune situazioni, i tempi sono stati addirittura triplicati. E non solo: spesso il deposito è avvenuto con più di un anno di ritardo.
I dati parlano chiaro. Per le sentenze civili, i ritardi sono arrivati fino a 671 giorni; per le ordinanze riservate, fino a 927 giorni; per le ordinanze di rimessione in istruttoria di procedimenti già decisi, si è toccato il massimo di 2.555 giorni. Anche i decreti ingiuntivi hanno avuto rallentamenti pesanti, con punte di 1.145 giorni, mentre per le sentenze civili in materia di lavoro si sono raggiunti i 484 giorni.
Le giustificazioni della giudice e la risposta della Corte
La magistrata aveva spiegato i ritardi con il carico di lavoro e la scarsità di personale nell’ufficio. Ma né il Csm né la Cassazione hanno accettato questa versione. “Le difficoltà nell’organizzazione non giustificano ritardi gravi e continui”, hanno ribadito i giudici supremi.
Secondo la Corte, saper gestire il tempo e le priorità fa parte del mestiere del magistrato. “Rispettare i termini – sottolinea la Cassazione – è fondamentale per garantire una giustizia efficiente e tutelare i diritti delle parti”. Solo quando ci sono prove chiare e situazioni eccezionali si può pensare a una riduzione della responsabilità.
Cosa cambia per la magistratura e la giustizia
La sentenza della Cassazione arriva mentre il tema dei tempi della giustizia è al centro del dibattito pubblico. Fonti del Csm parlano di molti casi in cui i magistrati accumulano ritardi nella redazione degli atti. Il provvedimento conferma una linea severa: chi non rispetta i tempi rischia sanzioni serie, proporzionate al ritardo.
Per molti addetti ai lavori, questa sentenza manda un messaggio chiaro: la responsabilità individuale non si può nascondere dietro problemi organizzativi o strutturali. “La giustizia deve essere veloce – ha commentato un funzionario del Ministero – perché ogni giorno di ritardo pesa su cittadini e imprese”. Un principio che, almeno secondo la Cassazione, vale anche in condizioni di lavoro difficili.
In sintesi, la vicenda mette in luce che i tempi della giustizia restano una delle sfide più grandi per il nostro sistema. Ma la responsabilità personale dei singoli magistrati torna a essere al centro dell’attenzione. Un segnale che potrebbe influire sulle prossime sanzioni e sulla gestione degli uffici giudiziari.
