Corte di Giustizia: un no che cambia le regole sul salario minimo in Italia

Corte di Giustizia: un no che cambia le regole sul salario minimo in Italia

Corte di Giustizia: un no che cambia le regole sul salario minimo in Italia

Matteo Rigamonti

Novembre 13, 2025

Roma, 13 novembre 2025 – Ieri la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha bocciato il ricorso presentato da Danimarca e Svezia contro la direttiva europea sul salario minimo. Con questa decisione, la Corte ha ribadito che ogni Paese membro può scegliere liberamente se adottare un salario minimo per legge o affidarsi ai contratti collettivi. Per il giuslavorista e consigliere del Cnel, Francesco Rotondi, si tratta di una sentenza che “assolve il Governo italiano dall’obbligo di introdurre gran parte delle riforme di cui è stato accusato”.

La sentenza che mette ordine sui salari minimi in Europa

Al centro della disputa c’è la direttiva 2022/2041, pensata per rafforzare i sistemi di salario minimo, sia quelli fissati per legge, sia quelli basati sui contratti collettivi, senza però imporre un modello unico a tutta l’Europa. La Corte di Lussemburgo ha riconosciuto la diversità tra Paesi: da una parte Francia e Germania, che hanno un salario minimo legale; dall’altra, come Italia, Danimarca e Svezia, dove i salari si definiscono solo attraverso la contrattazione collettiva.

Parlando con Adnkronos/Labitalia, Rotondi ha spiegato che la sentenza “conferma la linea della direttiva”, sottolineando che si tratta di un’applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale. In parole povere: si preferisce lasciare che le decisioni vengano prese da chi conosce meglio la situazione sul campo, intervenendo con la legge solo se davvero necessario. Questo principio si sposa bene con la libertà sindacale garantita dalla Costituzione italiana.

Italia libera di non introdurre un salario minimo legale

Per l’Italia, la sentenza mette le cose in chiaro: nessun obbligo di introdurre un salario minimo legale e nessun vincolo a rendere i contratti collettivi universalmente vincolanti. In pratica, chi decide i salari resta la contrattazione tra sindacati e imprese. “Questo – ha commentato Rotondi – solleva il Governo dall’obbligo di varare molte delle riforme che gli venivano contestate”.

Danimarca e Svezia avevano chiesto l’annullamento totale della direttiva, sostenendo che rappresentasse un’ingerenza nelle competenze nazionali su salari e diritto di associazione. Ma la Corte ha respinto questa richiesta, affermando che la normativa europea si applica solo quando c’è una “diretta ingerenza” nella determinazione delle paghe.

Due norme cancellate per eccesso di zelo

La sentenza non ha dato via libera a tutto. La Corte ha annullato due parti della direttiva ritenute troppo invadenti rispetto alle competenze degli Stati. Rotondi parla di “intervento chirurgico” da parte della Corte: “Queste disposizioni riguardavano proprio i Paesi con salari minimi fissati per legge”.

È chiaro che l’Unione Europea non può mettersi in mezzo su questioni che spettano agli Stati, come il livello delle retribuzioni o il diritto di associazione. Però, la Corte ha riconosciuto che la direttiva punta a “migliorare le condizioni di vita e di lavoro” in Europa, assicurando salari minimi adeguati. Per questo, le altre norme sono state giudicate compatibili con i poteri previsti dal Trattato.

Contrattazione collettiva e piani d’azione: il focus sull’Italia

Un passaggio chiave riguarda l’articolo 4 della direttiva, che spinge a rafforzare la contrattazione collettiva per fissare i salari. La Corte ha chiarito che l’obbligo per gli Stati con bassa copertura contrattuale (meno dell’80%) di mettere a punto un “piano d’azione” per promuovere la contrattazione non viola né il diritto di associazione né la libertà salariale.

Rotondi sottolinea l’importanza di questa parte per l’Italia: “La Corte ha escluso che questo obbligo interferisca con le prerogative nazionali”. Di fatto, il nostro sistema, che già gode di un’ampia copertura contrattuale, resta fuori da modifiche imposte dall’Europa.

Le reazioni e cosa ci aspetta

La sentenza della Corte UE è stata accolta con soddisfazione dai sindacati italiani, da sempre difensori del modello basato sulla contrattazione collettiva. Anche il Ministero del Lavoro ha espresso apprezzamento: “La sentenza conferma la bontà del nostro sistema”, si legge in una nota ufficiale.

Ora resta da vedere come si muoveranno gli altri Paesi. In Francia e Germania, il dibattito sul salario minimo legale resta acceso. In Italia, invece, il tema sembra destinato a rimanere sullo sfondo, almeno per il momento. Una sentenza che, come ha detto Rotondi, “fa chiarezza e tutela le specificità nazionali”.