La condanna a morte dell’ex leader del Bangladesh Hasina: un colpo di scena nella politica asiatica

La condanna a morte dell'ex leader del Bangladesh Hasina: un colpo di scena nella politica asiatica

La condanna a morte dell'ex leader del Bangladesh Hasina: un colpo di scena nella politica asiatica

Matteo Rigamonti

Novembre 17, 2025

Dacca, 17 novembre 2025 – Sheikh Hasina, ex primo ministro del Bangladesh, è stata condannata a morte in contumacia per crimini contro l’umanità legati alla dura repressione delle proteste antigovernative dello scorso anno. La sentenza è arrivata stamattina, pronunciata dal giudice Golam Mortuza Mozumder davanti a un’aula piena nella capitale. Nel frattempo, Hasina si trova in esilio in India, lontana dal suo Paese e dalle aule di giustizia che l’hanno vista protagonista per decenni.

Pena capitale per crimini contro la popolazione civile

L’agenzia Afp e fonti giudiziarie locali confermano che Hasina è stata ritenuta colpevole di tre accuse principali: istigazione alla violenza, ordine di uccidere e mancanza di intervento per fermare le atrocità. Il giudice Mozumder ha letto la sentenza in modo netto: “Abbiamo deciso di infliggerle la pena di morte”. La corte ha sottolineato come gli attacchi durante le proteste studentesche del 2024 siano stati “mirati alla popolazione civile” e “diffusi e sistematici”.

La sentenza arriva dopo mesi di tensioni nel Paese, segnati da scontri violenti tra manifestanti e forze dell’ordine. Secondo la corte, la repressione è stata orchestrata ai livelli più alti del governo, con l’uso di “droni, elicotteri e armi letali” contro i manifestanti.

Processo senza la presenza della leader in esilio

Hasina, 77 anni, storica guida della Lega Awami, non era in aula. Da mesi vive nascosta in India, dove si è rifugiata dopo la caduta del suo governo. In una dichiarazione diffusa dal suo rifugio, ha respinto le accuse: “Questi verdetti sono stati emessi da un tribunale truccato, creato e guidato da un governo non eletto e senza mandato democratico”, ha scritto. E ha aggiunto: “Sono parziali e politicamente motivati”.

Fonti vicine all’ex premier la descrivono come una donna “provata ma determinata”, che ha detto ai suoi collaboratori di non riconoscere la legittimità del processo. Dal governo indiano, invece, nessun commento ufficiale finora, con una linea di prudente neutralità.

Altri condannati e il ruolo del tribunale speciale

Oltre a Hasina, anche l’ex ministro dell’Interno Asaduzzaman Khan Kamal, anch’egli latitante, è stato condannato a morte. L’ex capo della polizia, Chowdhury Abdullah Al-Mamun, invece, è in custodia cautelare e ha preso cinque anni di carcere. Secondo la corte, ad Al-Mamun è stata concessa clemenza per aver collaborato al processo, fornendo “prove materiali” utili a ricostruire i fatti.

La sentenza ha diviso la popolazione di Dacca. C’è chi l’ha accolta come un passo verso la giustizia per le vittime delle proteste, ma molti sostenitori della Lega Awami parlano di “giustizia politica” e temono che la situazione possa peggiorare nelle strade della capitale.

Un Paese spaccato e un futuro incerto

Il processo contro Hasina arriva in un momento di forti divisioni politiche. Dopo le violenze dello scorso anno, che hanno causato decine di morti e centinaia di feriti secondo le organizzazioni internazionali, il nuovo governo ha avviato una serie di inchieste contro i vertici dell’esecutivo precedente. Le accuse più gravi riguardano proprio l’uso eccessivo della forza contro manifestanti disarmati e la mancata tutela dei diritti umani.

Secondo Al-Jazeera, la corte ha ribadito che “nelle atrocità che hanno portato a uccisioni e gravi ferimenti tra i manifestanti… l’imputata, primo ministro Sheikh Hasina, ha commesso crimini contro l’umanità, sia con l’ordine di istigazione sia per non aver preso misure preventive o punitive”.

Non è chiaro se Hasina dovrà mai scontare la pena: la sua presenza in India rende molto difficile ogni tentativo di estradizione. Nel frattempo, cresce l’attesa per la reazione della comunità internazionale. Finora, nessuna delle principali cancellerie occidentali ha preso posizione ufficiale, mentre le organizzazioni per i diritti umani chiedono maggiore trasparenza e garanzie nel processo.

In Bangladesh, la tensione resta alta. E il futuro politico del Paese sembra più incerto che mai.