Scopri come uno smartphone gestisce esperimenti spaziali in orbita

Scopri come uno smartphone gestisce esperimenti spaziali in orbita

Scopri come uno smartphone gestisce esperimenti spaziali in orbita

Matteo Rigamonti

Novembre 17, 2025

Roma, 17 novembre 2025 – Un semplice smartphone per controllare due esperimenti scientifici in orbita, direttamente dalla Terra. È questa la sfida lanciata oggi dall’Agenzia Spaziale Italiana e dal Gruppo Space Factory, che hanno siglato un accordo per realizzare due mini-laboratori di nuova generazione. Il protocollo, firmato dal direttore generale dell’ASI, Luca Vincenzo Maria Salamone, insieme ai vertici di Ali, azienda del gruppo, segna un passo avanti verso una gestione più semplice e flessibile della ricerca spaziale.

MiniLab 3.0: la sperimentazione spaziale entra in una nuova era

I due MiniLab 3.0 prenderanno posto a bordo del microsatellite Ireos-0, protagonista della prima missione del programma Irenesat-Orbital. Lo scopo è chiaro: testare in condizioni di microgravità nuove tecniche nelle scienze della vita e nelle ricerche farmacologiche. Gli esperimenti, chiamati Gaia e Astrogut, potranno essere gestiti da remoto con smartphone o tablet, una novità che promette di semplificare molto il lavoro degli scienziati nello spazio.

Il lancio del satellite, previsto nei prossimi mesi, sarà finanziato dall’ASI. Il nome scelto per il veicolo, Amalia, rende omaggio ad Amalia Ercoli Finzi, prima ingegnera aerospaziale italiana e una figura di riferimento a livello internazionale nel campo delle tecnologie spaziali.

Gaia e Astrogut: due progetti made in Italy in orbita

Il primo esperimento, Gaia, nasce dalla collaborazione con la Sapienza Università di Roma. L’obiettivo è studiare come cresce il germe di grano usando sia suolo terrestre che simulazioni di suolo lunare. “Vogliamo capire se sarà possibile coltivare grano sulla Luna o su Marte in futuro”, spiega uno dei ricercatori. Un test che guarda lontano, verso l’agricoltura nello spazio.

Il secondo mini-laboratorio, Astrogut, arriva dall’Università Federico II di Napoli. Qui si studia la fisiologia umana: il team seguirà il ciclo di vita del probiota intestinale in microgravità, per capire meglio come l’ambiente spaziale influisce sui processi biologici fondamentali.

Tecnologie all’avanguardia e rientro sicuro

Quando gli esperimenti saranno conclusi, si passerà alla certificazione in orbita dei sottosistemi del microsatellite. Un’attenzione particolare è rivolta al meccanismo di apertura dello scudo termico flessibile Irene, tecnologia proprietaria del Gruppo Space Factory. Questo sistema dovrebbe permettere ai satelliti di rientrare integri dall’orbita e di essere recuperati per nuove missioni, riducendo costi e impatto ambientale.

“Questa missione è un esempio concreto del ruolo dell’Italia nella progettazione e nello sviluppo di tecnologie per il rientro dall’orbita bassa e il riuso”, ha detto Mario Cosmo, direttore Scienza e Innovazione dell’ASI. Parole che trovano eco in quelle di Massimo Comparini, managing director Leonardo Space Division e presidente del CdA Thales Alenia Space: “La sperimentazione biopharma nello spazio è uno dei settori più promettenti per l’economia dell’orbita bassa. Avere accesso a laboratori automatizzati e intelligenti a costi contenuti è una strada da seguire con attenzione”.

L’Italia protagonista nella corsa allo spazio

La missione Ireos-0/Amalia si inserisce in un quadro internazionale dove la ricerca in microgravità e le tecnologie per il rientro sicuro dei satelliti stanno diventando sempre più importanti. Con questa iniziativa, l’Italia punta a rafforzare la sua posizione tra i protagonisti della nuova corsa allo spazio.

Secondo fonti vicine al progetto, i primi risultati degli esperimenti arriveranno entro sei mesi dal lancio. Nel frattempo, la comunità scientifica segue con interesse i lavori nei laboratori della Sapienza e della Federico II, dove, tra provette, terriccio simulato e colture batteriche, si lavora senza sosta per preparare tutto.

Un piccolo passo per la tecnologia italiana, forse, ma un salto importante verso una gestione più democratica e sostenibile della ricerca spaziale. Chissà che, tra qualche anno, non si possa davvero coltivare grano sulla Luna – o monitorare la salute umana nello spazio con un semplice smartphone.