Perché l’Alzheimer ruba i ricordi più preziosi

Perché l'Alzheimer ruba i ricordi più preziosi

Perché l'Alzheimer ruba i ricordi più preziosi

Matteo Rigamonti

Novembre 18, 2025

Roma, 18 novembre 2025 – Uno dei sintomi più strazianti dell’Alzheimer è l’incapacità di riconoscere le persone care. Ora, una nuova ricerca punta il dito su un possibile colpevole: il deterioramento di precise reti protettive dei neuroni nel cervello. A dirlo è uno studio pubblicato su Alzheimer’s & Dementia, frutto della collaborazione tra l’Università della Virginia e il Virginia Tech. La ricerca, condotta su topi, apre la porta a nuove idee su come capire e forse fermare questo processo.

Memoria sociale a rischio: il ruolo delle reti perineuronali

I ricercatori hanno scoperto che la perdita della memoria sociale — la capacità di riconoscere volti familiari — sembra legata al danneggiamento delle reti perineuronali. Queste reti sono come una maglia che avvolge i neuroni in alcune zone del cervello. Servono a proteggerli e a regolare la comunicazione tra le cellule nervose, aiutando a formare e mantenere i ricordi. Harald Sontheimer, che ha guidato lo studio, spiega: “Individuare un cambiamento strutturale che spiega una perdita di memoria così specifica nell’Alzheimer è un passo avanti importante. È un bersaglio nuovo e abbiamo già a disposizione farmaci che potrebbero agire su di esso”.

Cosa succede quando le reti si deteriorano: esperimenti sui topi

Il gruppo ha osservato che nei topi con reti perineuronali danneggiate nella regione CA2 dell’ippocampo si perde la capacità di ricordare altri topi, cioè la memoria sociale, mentre la memoria degli oggetti resta intatta. Questo ricorda molto ciò che accade negli esseri umani affetti da Alzheimer, dove spesso il riconoscimento di amici e parenti è uno dei primi problemi a emergere. “La degradazione di queste reti compromette in modo selettivo la memoria sociale”, sottolinea Sontheimer.

Un farmaco già conosciuto potrebbe fare la differenza

Gli scienziati hanno provato a usare alcuni inibitori delle metalloproteinasi della matrice (Mmp), farmaci che sono già allo studio per tumori e artrite. Questi bloccano gli enzimi che rompono le proteine delle reti perineuronali. Nei topi trattati, la degradazione delle reti si è ridotta e la memoria sociale è stata in parte preservata, anche con l’Alzheimer in corso. “I risultati sono promettenti, ma prima di pensare a test sugli esseri umani servono ancora molti controlli su sicurezza ed efficacia”, avverte Sontheimer.

Prudenza necessaria: la parola agli esperti

Nonostante l’entusiasmo, gli scienziati invitano a mantenere la cautela. Gli esperimenti finora sono stati fatti solo sugli animali e non è ancora certo che questi meccanismi funzionino allo stesso modo nell’uomo. Inoltre, come ricordano gli autori dello studio, bisognerà valutare con attenzione i possibili effetti collaterali dei farmaci. “Siamo solo all’inizio — ammette Sontheimer — ma questa scoperta potrebbe cambiare il modo in cui affrontiamo la perdita della memoria sociale nell’Alzheimer”.

Una nuova pista per combattere l’Alzheimer

Trovare nelle reti perineuronali un possibile bersaglio terapeutico apre una strada nuova nella ricerca sull’Alzheimer. Finora, la maggior parte degli studi si è concentrata sulle placche di beta-amiloide e sui grovigli di tau, le due alterazioni più note nel cervello dei malati. Ora l’attenzione si sposta anche su quelle strutture che proteggono i neuroni e ne regolano il lavoro. “Se riusciremo a preservare queste reti — conclude Sontheimer — potremmo salvare non solo i ricordi, ma anche la qualità della vita delle persone colpite dalla malattia”.

Per ora, la speranza è tutta nei laboratori. Ma la strada indicata dagli scienziati americani potrebbe aprire la via a terapie in grado di restituire ai malati di Alzheimer almeno una parte della memoria più preziosa: quella legata agli affetti e ai legami più stretti.