Roma, 19 novembre 2025 – Oggi a Palazzo Chigi è scoppiata la rottura definitiva tra governo e sindacati sull’ex Ilva, dopo il secondo confronto in pochi giorni. Le sigle metalmeccaniche Fim, Fiom e Uilm hanno proclamato uno sciopero unitario contro il piano del governo, accusato di voler chiudere lo stabilimento e mettere in cassa integrazione fino a 6.000 lavoratori. Il governo smentisce e parla di “percorsi di formazione” per i dipendenti coinvolti, ma il divario resta evidente.
Piano governo sotto attacco: rischio stop per l’ex Ilva
Al tavolo di confronto a Roma, la tensione è salita subito. I sindacati hanno contestato con forza l’ipotesi di allargare la cassa integrazione: secondo le stime già emerse, da gennaio si aggiungeranno 1.550 lavoratori ai 4.450 già in cig, portando il totale a 6.000 per almeno due mesi. “Il piano di fatto taglia le attività, significa chiusura. Per noi non è accettabile”, ha detto senza mezzi termini Ferdinando Uliano, segretario generale della Fim-Cisl.
Il governo ha ribadito che non ci sarà “un ulteriore allargamento” della cassa integrazione e che la richiesta principale dei sindacati è stata accolta. “Per chi è già in cig sono previsti percorsi di formazione”, spiegano fonti di Palazzo Chigi. L’idea è far acquisire ai lavoratori competenze sulle nuove tecnologie green per la produzione dell’acciaio.
Sindacati in allarme: sciopero e ultimatum al governo
Ma le rassicurazioni non convincono. Anzi, dopo le parole di Rocco Palombella, leader della Uilm, il clima si è fatto ancora più teso: “Dal primo marzo non saranno più 6.000 i lavoratori in cassa integrazione, ma tutti. È un disastro”, ha avvertito, chiamando il governo e le istituzioni a prendersi le loro responsabilità. Poco dopo è arrivata la decisione di scioperare: domani si fermano i lavoratori degli stabilimenti ex Ilva di Genova; a Taranto, l’assemblea di giovedì deciderà la data dello stop, che quasi certamente sarà venerdì.
“Abbiamo chiesto alla presidenza del Consiglio di ritirare il piano e di far intervenire direttamente la premier Giorgia Meloni. Ci hanno detto no, così abbiamo deciso lo sciopero”, ha spiegato Michele De Palma, segretario generale della Fiom-Cgil.
Le reazioni politiche e lo scenario industriale
Lo sciopero ha subito il sostegno del leader della Cgil, Maurizio Landini: “Il governo deve ritirare il piano e la premier deve intervenire in prima persona”, ha detto ai cronisti fuori da Palazzo Chigi. Nel frattempo, il governo ha fatto il punto sulle trattative per la vendita del gruppo: oltre ai fondi Bedrock Industries e Flacks Group, sarebbe spuntato un terzo acquirente – nome riservato – e un quarto operatore extra-Ue, definito “una novità” dall’Ugl.
L’Usb, invece, ha attaccato duramente il governo: “Il piano conferma la chiusura”, hanno detto i rappresentanti del sindacato di base. Il pacchetto di 93mila ore di formazione per 1.550 lavoratori viene visto come “un modo per mascherare la mancanza di attività produttive, non certo per costruire un futuro industriale”.
Lo scontro sul ruolo dello Stato e le incertezze sul domani
Sul tavolo resta la richiesta dei sindacati di un intervento diretto dello Stato nella gestione dell’ex Ilva. Una proposta che si scontra con le trattative in corso e con la linea del governo, che per ora si dice disponibile a “mantenere il confronto”, ma non sembra intenzionato a cambiare strategia.
Nei prossimi giorni si attendono le prime adesioni allo sciopero nei vari stabilimenti. A Genova i cancelli potrebbero restare chiusi già all’alba; a Taranto la tensione è alta, in attesa delle decisioni dell’assemblea. Sullo sfondo, il futuro dell’acciaieria più grande d’Europa resta appeso a un filo: tra piani contestati, trattative segrete e una crisi occupazionale che potrebbe esplodere da un momento all’altro.
