Pechino, 20 novembre 2025 – In appena 59 giorni di attività, il nuovo rivelatore di neutrini Juno, installato in Cina con un ruolo chiave dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare italiano, ha già raggiunto una precisione che sta sorprendendo gli scienziati. I primi dati, pubblicati su arXiv dall’Istituto di Fisica delle Alte Energie dell’Accademia Cinese delle Scienze, segnano un passo avanti importante nello studio delle particelle più elusive dell’universo.
Juno, il cacciatore di neutrini che rivoluziona la fisica
Il progetto Juno – attivo dal 26 agosto scorso nella provincia cinese del Guangdong – è il primo grande rivelatore di neutrini ad alta precisione pensato per studiare la massa e le trasformazioni, cioè i cosiddetti parametri di oscillazione, di queste particelle. In meno di due mesi, il team internazionale ha raccolto dati che, secondo gli scienziati, rappresentano “un salto di qualità enorme nello studio del settore”.
Gioacchino Ranucci, viceresponsabile internazionale della collaborazione Juno e ricercatore dell’Infn e dell’Università di Milano, non ha nascosto l’entusiasmo: “Il risultato annunciato oggi dimostra quanto sia stato prezioso il lavoro di dieci anni della Collaborazione Juno per mettere insieme un rivelatore che usa diverse tecnologie all’avanguardia. Un sistema che nei prossimi anni dominerà la fisica dei neutrini, fornendo dati di precisione senza precedenti”. Parole che raccontano la soddisfazione di chi ha seguito il progetto fin dall’inizio.
Un’anomalia tra neutrini solari e quelli da reattore
Tra i primi dati spicca la conferma di una anomalia già vista in passato: una differenza tra i neutrini prodotti dal Sole e quelli provenienti da un vicino reattore nucleare. Un dettaglio che, secondo gli esperti, potrebbe aprire nuove strade nella fisica delle particelle. “Questa stranezza – spiegano i ricercatori – potrebbe essere la chiave per capire fenomeni ancora sconosciuti”. Non è la prima volta che si notano differenze tra i due gruppi di neutrini, ma la precisione di Juno permette ora di studiare il fenomeno con strumenti mai visti prima.
Il rivelatore, piazzato a 700 metri di profondità per evitare interferenze dall’esterno, usa più di 20mila fotomoltiplicatori per catturare i segnali rarissimi lasciati dai neutrini. Un lavoro paziente, fatto di attese e controlli continui. Solo così si sono potuti ottenere dati affidabili in tempi così brevi.
Collaborazione internazionale e il peso dell’Italia
Il progetto Juno coinvolge oltre 700 ricercatori da 17 paesi. L’Italia partecipa con le sezioni Infn di Catania, Ferrara, Milano, Milano Bicocca, Padova, Perugia, Roma Tre e con i Laboratori Nazionali di Frascati. Un impegno collettivo che ha permesso di superare sfide tecniche e logistiche non banali. “La collaborazione internazionale è stata decisiva – ha detto Ranucci – sia nella progettazione sia nella gestione quotidiana del rivelatore”.
Il sito cinese è stato scelto per la sua posizione strategica: vicino a potenti reattori nucleari e abbastanza isolato da ridurre al minimo i disturbi ambientali. Ogni dettaglio è stato studiato per garantire la massima sensibilità agli eventi rari da osservare.
Cosa aspettarsi da Juno nei prossimi mesi
I dati pubblicati su arXiv non sono ancora stati esaminati da revisori esterni, ma hanno già attirato l’attenzione degli addetti ai lavori. “Siamo solo all’inizio – dicono alcuni ricercatori italiani – ma le potenzialità di Juno sono enormi”. Nei prossimi mesi il rivelatore continuerà a raccogliere dati, con l’obiettivo di chiarire la natura dei neutrini e il loro ruolo nell’evoluzione dell’universo.
La comunità scientifica guarda a Juno come a uno degli strumenti chiave per risolvere alcuni dei grandi misteri ancora aperti della fisica fondamentale. E l’Italia, grazie all’Infn e alle sue università, si conferma protagonista in una delle sfide più affascinanti della ricerca contemporanea.
