Torino, 20 novembre 2025 – Il futuro dell’Ilva torna a far discutere sindacati e politica, con i rappresentanti dei lavoratori che nelle ultime ore hanno lanciato l’allarme sulla sorte dello stabilimento siderurgico. Al termine del consiglio confederale regionale della Uil Piemonte, il segretario generale Pier Paolo Bombardieri ha puntato il dito contro il governo e, in particolare, il ministro delle Imprese Adolfo Urso, accusandoli di non aver dato risposte concrete alla crisi dell’acciaieria. “Il lavoro del ministro Urso sta portando l’Ilva alla chiusura”, ha detto Bombardieri, ricordando come da oltre un anno si parli di investitori interessati, ma senza risultati concreti.
Sindacati in allarme: manca un piano industriale chiaro
Secondo Bombardieri, l’ultimo incontro tra governo e parti sociali, che si è tenuto due sere fa a Roma, ha segnato una svolta negativa. “Le nostre proposte sono sul tavolo, ma quando si parla di formazione non si capisce se serve a smontare l’Ilva o a far ripartire la produzione di acciaio”, ha spiegato il leader della Uil. Il riferimento è alle ipotesi di riconversione e riqualificazione dei lavoratori, che però restano molto vaghe. “Spezzettare l’azienda non è la soluzione”, ha aggiunto, parlando dell’idea di dividere gli asset produttivi. “Non c’è un piano industriale serio. Il governo deve decidere se il Paese vuole ancora l’acciaio”.
La posizione della Uil è chiara e decisa: l’Italia non può rinunciare a un settore strategico come quello siderurgico. Ma la mancanza di segnali precisi dall’esecutivo fa crescere il timore di una chiusura lenta e progressiva. “Se la decisione è un’altra, bisogna ammetterlo: l’Ilva la stiamo chiudendo”, ha ribadito Bombardieri, chiedendo trasparenza e un confronto vero su quello che succederà.
La Cisl: “Serve chiarezza e difesa della filiera”
Anche la Cisl lancia l’allarme. Daniela Fumarola, segretaria generale, è intervenuta al convegno “Sul Cammino della Responsabilità” a Torino. “Siamo molto preoccupati per l’Ilva. Sosteniamo la protesta dei lavoratori”, ha detto, sottolineando che la situazione è ormai evidente a tutti. “C’è poca chiarezza e serve capire bene cosa si sta facendo”.
Fumarola ha ribadito che non si possono più accettare nuovi ricorsi alla cassa integrazione, né tantomeno pensare a chiudere gli stabilimenti. “Spegnerli – a Genova e non solo – significa indebolire la fabbrica e mettere in discussione il futuro”, ha spiegato. Per lei, salvare il lavoro significa tutelare tutta la filiera dell’acciaio e mantenere la produzione.
Governo e territori: serve un impegno condiviso
I sindacati chiedono al governo di uscire dall’incertezza e di dare certezze ai lavoratori. “Abbiamo bisogno di stabilità e di prospettive per i progetti in corso”, ha detto Fumarola, parlando in particolare della decarbonizzazione. Un processo atteso da anni – quasi tredici, ha ricordato – che però non è ancora partito davvero.
Nel suo intervento, Fumarola ha chiamato in causa anche le amministrazioni locali: “Comuni e province sono coinvolti nella vertenza e devono fare la loro parte”, ha detto. La richiesta è chiara: serve un impegno comune, senza lasciare tutto sulle spalle dei lavoratori. “Noi faremo la nostra parte, ma è importante che tutti scendano in campo”, ha concluso.
Una crisi che riguarda migliaia di famiglie
Sul tavolo restano le sorti di migliaia di lavoratori diretti e dell’indotto, non solo a Taranto ma anche in altri siti come Genova. Secondo le prime stime dei sindacati, sono più di 10mila le persone coinvolte, tra dipendenti e aziende collegate. Il clima tra gli operai resta teso: nelle ultime settimane si sono moltiplicate assemblee nei reparti e manifestazioni davanti ai cancelli.
Il governo, intanto, non ha ancora fornito dettagli su nuovi investitori o su un piano aggiornato. La richiesta dei sindacati è netta: serve una scelta politica chiara sul futuro dell’acciaio italiano e dell’Ilva. Nel frattempo, l’incertezza pesa sulle famiglie dei lavoratori e sull’economia dei territori.
