Milano, 22 novembre 2025 – Gli ambienti virtuali possono davvero aiutare a superare i pregiudizi e a creare nuove relazioni sociali? È questa la domanda che ha guidato un esperimento promosso da EY Italia, insieme all’Istituto Italiano di Tecnologia e all’Università La Sapienza di Roma, coinvolgendo quasi 200 visitatori nel Padiglione Italia virtuale di Expo 2025 Osaka. Un progetto che, tra avatar e scenari digitali, ha cercato di capire come la tecnologia stia diventando sempre più un vero e proprio laboratorio sociale, non solo un semplice strumento.
Il digitale come nuovo luogo d’incontro
Al centro dell’esperimento c’è stata la possibilità di osservare come le persone si muovono e interagiscono in un ambiente virtuale popolato da avatar di diverse etnie. Dai dati raccolti da EY emerge che la prossemica fisica – cioè il modo in cui gestiamo le distanze tra di noi – si ripete anche nel mondo digitale. Un dato che, a prima vista, può sorprendere. Eppure, anche tra pixel e realtà aumentata, le differenze culturali restano ben vive.
Per esempio, i partecipanti giapponesi tendevano a mantenere una distanza maggiore rispetto agli italiani, rispecchiando le abitudini sociali proprie dei loro Paesi. “Abbiamo visto che le distanze tra le persone riflettono quelle tipiche dei loro contesti culturali”, ha spiegato uno dei ricercatori. Ma non solo: anche la percezione di attrattività e affidabilità degli avatar influiva sulla distanza scelta dagli utenti. Per ogni punto in più nell’attrattività, la distanza calava di 0,27 centimetri; per l’affidabilità, di 0,17 centimetri.
Pregiudizi e fiducia: cosa cambia nel virtuale
Il dato più interessante riguarda proprio la possibilità di mettere in discussione i confini culturali. Se da un lato le differenze restano, dall’altro il mondo virtuale sembra offrire spazi per costruire fiducia e abbattere barriere. “Il virtuale è un nuovo spazio di socializzazione”, sottolinea il team di EY, “capace di creare legami che nel mondo reale sarebbero più difficili da instaurare”.
Non si tratta solo di numeri. Durante le sessioni, alcuni visitatori hanno raccontato di essersi sentiti meno sotto pressione nel dialogare con avatar diversi da loro. “Mi sono sentita più libera di esprimermi”, ha confidato una partecipante italiana. Altri hanno ammesso che l’aspetto degli avatar influiva sulle prime impressioni, ma che il dialogo aiutava a superare gli stereotipi iniziali.
Verso Expo 2030: il digitale che unisce culture
Questi esperimenti anticipano un tema che diventerà centrale nei prossimi anni: il ruolo del digitale nelle grandi esposizioni internazionali. All’Expo 2030 di Riad, spiegano gli organizzatori, l’innovazione e la realtà immersiva saranno gli strumenti principali per favorire l’incontro tra culture diverse. L’obiettivo è immaginare comunità più inclusive, dove la tecnologia non sia solo un avanzamento tecnico, ma anche un ponte tra i popoli.
Secondo gli esperti coinvolti, il futuro delle relazioni interculturali passerà sempre più da piattaforme digitali capaci di abbattere barriere fisiche e mentali. “Stiamo vivendo una trasformazione profonda”, spiega un docente de La Sapienza. “La tecnologia può aiutare il dialogo, ma bisogna fare attenzione ai dettagli: anche nel virtuale, i codici culturali restano forti”.
Un laboratorio sociale in continua crescita
Il progetto di EY Italia, IIT e La Sapienza è solo un primo passo. I risultati completi della ricerca sono già disponibili online e offrono spunti concreti per chi lavora su innovazione sociale e tecnologia applicata alle relazioni umane. In vista di Expo 2030, il digitale si conferma un terreno fertile per sperimentare nuovi modi di vivere insieme.
In fondo, dietro ogni avatar c’è sempre una persona vera. E il modo in cui ci avviciniamo – o ci teniamo a distanza – dagli altri, anche in un mondo virtuale, racconta molto delle nostre abitudini e dei nostri limiti. Solo così potremo capire se il digitale riuscirà davvero a superare i confini che portiamo dentro di noi.
