Belluno, 23 novembre 2025 – Un uomo di sessant’anni, residente nella zona della Destra Piave, si è tolto la vita lo scorso fine settimana, poche ore dopo essere stato visitato al Pronto soccorso dell’ospedale San Martino di Belluno. Dalle prime ricostruzioni, l’uomo aveva manifestato intenzioni suicide ed era in evidente stato di alterazione. Nonostante questo, dopo la visita medica è stato dimesso e rimandato a casa. Ora la Procura ha aperto un’inchiesta: una dottoressa di quarant’anni, che era in servizio quella notte, è indagata per omicidio colposo.
Suicidio a Belluno, indagini in corso
Secondo quanto emerso finora, il sessantenne si era presentato al Pronto soccorso in uno stato di disagio psichico. Non era la prima volta: in passato era stato sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio (TSO). Ma quella notte, la procedura non è stata attivata. Il protocollo prevede che, in caso di rischio suicidario, venga avvisato il Comune di residenza, e che il sindaco o un assessore ordinino il ricovero coatto in Psichiatria. Qui, quella misura non è scattata.
La dottoressa indagata – assistita dall’avvocato Massimo Moretti – ha deciso che non c’erano i presupposti per il TSO. Così, l’uomo è stato dimesso e ha fatto ritorno a casa. Poche ore dopo, un vicino lo ha trovato senza vita. Sul posto sono intervenuti carabinieri e sanitari del 118, ma per lui non c’era più nulla da fare.
Autopsia conferma il suicidio, indagine interna in corso
Il pubblico ministero Claudio Fabris ha disposto l’autopsia, affidata all’anatomopatologo Antonello Cirnelli. I primi esami hanno confermato il suicidio. Intanto, l’Ulss 1 Dolomiti ha avviato un’indagine interna per capire se siano state rispettate le procedure nel caso di rischio suicidario e se la valutazione psichiatrica sia stata fatta con attenzione.
“Stiamo controllando ogni passaggio – spiegano dall’azienda sanitaria – per capire se ci siano state mancanze nella gestione del caso”. La direzione dell’Ulss ricorda che il personale deve prendere decisioni difficili in tempi molto brevi, ma sottolinea l’importanza di prestare la massima cura ai pazienti più fragili.
La famiglia chiede risposte, supporto psicologico attivo
La madre dell’uomo, rimasta l’unica famiglia, si è affidata all’avvocato Carlo Vigna ed è stata riconosciuta parte lesa nel procedimento. “Vogliamo sapere cosa è successo davvero quella notte”, ha detto il legale, spiegando la volontà della famiglia di far luce sulla tragedia.
Il caso ha riacceso il dibattito sulla gestione delle emergenze psichiatriche e sulla necessità di strumenti efficaci per prevenire i suicidi. La Regione Veneto ricorda che è attivo il numero verde 800 33 43 43, disponibile 24 ore su 24 per chi cerca supporto psicologico. Ci sono anche i servizi Telefono Amico e WhatsApp Amico Padova, pensati per chi si sente solo o in difficoltà.
Sanità sotto pressione, responsabilità e difficoltà
Fonti ospedaliere ammettono che casi come questo mettono in luce le difficoltà quotidiane del personale nel riconoscere e gestire situazioni a rischio. “I segnali non sono sempre chiari – racconta un medico del pronto soccorso – e ogni decisione pesa molto”. La dottoressa indagata, che ha ricevuto l’avviso di garanzia, si è detta “profondamente colpita” e pronta a collaborare con gli inquirenti.
La Procura continua a indagare per capire se ci siano state omissioni o sottovalutazioni nella valutazione clinica. L’obiettivo è stabilire se il TSO avrebbe potuto evitare la tragedia o se la decisione presa quella notte fosse giustificata dalle condizioni dell’uomo.
Una tragedia che scuote la comunità
La vicenda ha scosso Belluno e riaperto il dibattito sulle regole per proteggere i pazienti psichiatrici. In attesa degli esiti dell’inchiesta giudiziaria e dell’indagine interna dell’Ulss, resta forte la domanda su come migliorare la prevenzione e il sostegno a chi attraversa momenti difficili. Nel frattempo, i servizi di ascolto rimangono a disposizione di chiunque abbia bisogno di aiuto.
