Bankitalia: lo smart working non influisce sulla produttività

Bankitalia: lo smart working non influisce sulla produttività

Bankitalia: lo smart working non influisce sulla produttività

Giada Liguori

Novembre 24, 2025

Milano, 24 novembre 2025 – Lo smart working in Italia, arrivato in massa durante l’emergenza Covid e poi diventato parte della routine di molte aziende, non ha cambiato molto la produttività del lavoro. Lo rivela uno studio appena pubblicato dalla Banca d’Italia, che ha analizzato l’effetto del lavoro a distanza tra il 2019 e il 2023, basandosi su dati raccolti direttamente dalle imprese. Secondo i ricercatori, il lavoro da remoto non ha né aumentato né diminuito la produttività media. Resta però una forte variabilità tra settori e singole aziende.

Smart working: nessun boom di produttività, ma qualche eccezione

La ricerca della Banca d’Italia ha preso in esame due indicatori principali: il fatturato e l’input di lavoro. Nel complesso, l’introduzione dello smart working non ha portato grandi cambiamenti su questi fronti. “Solo alcune aziende hanno visto un miglioramento nella produttività”, si legge nel rapporto, “e queste hanno continuato a puntare sul lavoro da remoto anche dopo la pandemia”. Insomma, chi ha saputo adattarsi e trarre vantaggio da questo nuovo modo di lavorare ha deciso di non tornare indietro, almeno in parte.

Forza lavoro e investimenti: tutto sostanzialmente stabile

Un altro aspetto emerso dallo studio riguarda la composizione della forza lavoro. Non sono stati rilevati cambiamenti significativi nella struttura del personale delle imprese coinvolte. Anche profitti, costi variabili e investimenti nelle tecnologie 4.0 sono rimasti più o meno gli stessi rispetto a prima della pandemia. “Non abbiamo visto impatti importanti su questi elementi”, ha spiegato uno degli autori durante la presentazione a Palazzo Koch. Questo conferma che il passaggio al lavoro agile non ha scosso le basi economiche delle aziende italiane.

Smart working ancora più diffuso rispetto al 2019

Anche se le restrizioni sanitarie sono finite e si torna gradualmente in ufficio, lo smart working resta più diffuso rispetto a prima del Covid. Secondo i dati della Banca d’Italia, molte aziende hanno deciso di mantenere una quota di lavoro a distanza, anche se non più ai livelli record del 2020 e 2021. “Dopo i momenti più difficili della pandemia, il fenomeno si è ridimensionato”, ammette un dirigente di una grande impresa milanese, “ma oggi è impensabile tornare completamente al vecchio modello”. La flessibilità introdotta dal lavoro agile sembra destinata a restare, almeno in alcune realtà.

Imprese divise sullo smart working: vantaggi e difficoltà

Le opinioni tra gli imprenditori sono diverse. Alcuni manager, soprattutto nei settori tecnologici e dei servizi avanzati, sottolineano come lo smart working abbia migliorato l’equilibrio tra vita privata e lavoro per i dipendenti. Altri invece lamentano problemi nel mantenere spirito di squadra e coesione a distanza. “Abbiamo dovuto cambiare molte procedure interne”, racconta il responsabile delle risorse umane di una media impresa lombarda. “Non tutto si può fare da remoto, ma alcune cose funzionano meglio così”. Anche la ricerca della Banca d’Italia conferma questa varietà: non c’è una soluzione unica che vada bene per tutti.

Smart working: un cambiamento vero, ma senza stravolgere tutto

In sintesi, lo smart working in Italia si è affermato come un modo in più di lavorare, senza però rivoluzionare la produttività delle imprese. Il quadro che esce dallo studio della Banca d’Italia è quello di un cambiamento graduale, fatto più di aggiustamenti che di rivoluzioni. Solo poche aziende hanno saputo cogliere appieno le potenzialità del lavoro agile; per la maggior parte si tratta di un’opzione in più, utile ma non decisiva. Eppure, come sottolineano diversi osservatori, il vero impatto dello smart working potrebbe farsi sentire solo nei prossimi anni, quando queste nuove abitudini saranno ben radicate.