Il coraggio di mio padre: la storia di Jihan K. e la lotta contro Gheddafi

Il coraggio di mio padre: la storia di Jihan K. e la lotta contro Gheddafi

Il coraggio di mio padre: la storia di Jihan K. e la lotta contro Gheddafi

Giada Liguori

Novembre 24, 2025

Roma, 24 novembre 2025 – La Libia di ieri e di oggi, i conflitti che ancora pesano e la storia di un padre scomparso: sono questi i temi che si intrecciano in “My Father and Qaddafi”, il documentario di Jihan Kikhia presentato in anteprima in Italia, dopo il debutto mondiale alla Mostra del Cinema di Venezia. Un racconto che è insieme personale e collettivo, un viaggio attraverso decenni di storia libica e i traumi che il Paese porta ancora dentro.

Un padre sparito nel cuore della Libia

Il film ruota attorno a Mansur Rashid Kikhia, giurista e attivista, che fu ministro degli Esteri e ambasciatore all’Onu sotto il regime di Muammar Gheddafi. Negli anni Settanta e Ottanta era uno dei volti più vicini al potere, ma poi aveva scelto di opporsi in modo pacifico. Nel dicembre del 1993, durante un viaggio al Cairo, Mansur è sparito senza lasciare tracce, dall’albergo dove alloggiava. Da quel giorno, la sua famiglia ha vissuto nell’attesa di una risposta.

La moglie, Baha Omary Kikhia, artista siriana naturalizzata americana, non ha mai smesso di cercare la verità. “Non abbiamo mai perso la speranza”, ha detto più volte. Solo nel 2012, dopo la caduta del regime, il corpo di Mansur è stato trovato in un frigorifero in una villa vicino a Tripoli. Le ricostruzioni indicano che sarebbe morto in prigionia circa dieci anni prima. Ma le circostanze restano ancora avvolte nel mistero.

Il documentario come memoria viva

Jihan Kikhia aveva solo sei anni quando il padre scomparve. All’epoca viveva con la famiglia in Francia, poi si è trasferita negli Stati Uniti. “Ho intrappolato mio padre nel mondo dei sogni”, ha raccontato alla stampa. Crescere senza risposte ha segnato la sua vita, ma le ha anche dato la forza di affrontare questa storia con uno sguardo lucido e quasi da cronista. “Questo mi ha permesso di realizzare il film”, ha spiegato.

Il documentario – coprodotto da Valentina Castellani-Quinn per Quinn Studios Entertainment – non è solo una storia familiare. È uno specchio della Libia di oggi, segnata da conflitti e instabilità. “Nemmeno quattro settimane dopo la sepoltura di mio padre a Bengasi – ha ricordato Jihan – il governo di transizione è crollato e il Paese è piombato nella guerra civile”. Una coincidenza che ha rafforzato in lei la voglia di tenere viva la memoria del padre, per non farla svanire una seconda volta.

La Libia tra passato e presente

Il film ripercorre decenni di storia libica: dalla colonizzazione all’era Gheddafi, fino ai giorni nostri. Mansur Kikhia emerge come simbolo di una possibile strada diversa, un uomo che aveva scelto il dialogo e il rispetto della legge. Ma, come spesso succede, la sua storia personale si mescola con quella collettiva.

“Quando qualcuno diventa un eroe, appartiene a tutti”, ha riflettuto Jihan. “Per quanto sia bello avere un padre diventato simbolo e fonte d’ispirazione, io volevo mostrare anche la sua umanità, con tutte le sue contraddizioni”. Il film racconta anche questo: il tentativo di restituire a Mansur una dimensione più intima, fatta di dubbi e fragilità.

Un viaggio tra ricordi e identità

“My Father and Qaddafi” ha attirato l’attenzione nei festival internazionali. In Italia, le anteprime hanno acceso il dibattito tra storici, attivisti e membri della diaspora libica. Il racconto si muove tra archivi di famiglia, testimonianze dirette e immagini dei luoghi chiave: l’albergo del Cairo, le vie di Bengasi, le stanze silenziose della villa fuori Tripoli.

La regista ha spiegato che il film nasce dal bisogno di “evitare una doppia perdita: quella personale e quella di un intero Paese”. In un momento in cui la Libia vive ancora profonde ferite – guerre, crisi politiche, migrazioni forzate – la memoria diventa uno strumento per interrogare il presente.

“My Father and Qaddafi” non dà risposte definitive. Piuttosto, invita a riflettere su cosa significhi cercare la verità quando le ferite sono ancora aperte. E su come il cinema possa aiutare a ricucire i pezzi spezzati della storia.