Netflix riaccende il mistero sull’autore di Napalm Baby

Netflix riaccende il mistero sull'autore di Napalm Baby

Netflix riaccende il mistero sull'autore di Napalm Baby

Giada Liguori

Novembre 24, 2025

Miami, 24 novembre 2025 – Il mistero sull’archivio fotografico di Al Rockoff, il reporter che ha raccontato gli orrori dei Khmer Rossi in Cambogia e che John Malkovich ha interpretato nel film “The Killing Fields”, si infittisce. Da più di un anno, le scatole con negativi e stampe storiche sono sparite dal magazzino-casa del fotografo in Florida. Chi gli è vicino assicura che Rockoff, oggi 77enne e afflitto da stress post-traumatico e problemi di memoria, non ha dato il suo consenso.

Archivio sparito, versioni che non tornano

Le immagini di Al Rockoff, scattate tra Vietnam e Cambogia negli anni Settanta, sono una testimonianza diretta della guerra. Ma oggi, quel prezioso archivio è scomparso nel nulla. Victoria Bornas, ex moglie di Rockoff e sua principale interlocutrice, racconta che un collezionista di cimeli del Vietnam, Brad Bledsoe, avrebbe preso la collezione tramite un amico comune. “Al stava male, fisicamente ed economicamente”, ha detto Bornas, lasciando capire che la cessione non è stata del tutto consapevole.

Bledsoe, sentito dal New York Times, ha offerto un’altra versione: “È stato Al a chiedermi di salvare le sue foto prima che andassero perse o distrutte. Mi ha chiesto di custodire il suo lavoro”. Così il mistero resta fitto, tra ricordi confusi e anni che pesano sulla memoria.

Netflix riaccende il caso della foto “Napalm Baby”

Intanto, un altro enigma scuote il mondo del fotogiornalismo. Netflix sta per rilanciare i dubbi sull’autore della celebre foto “Napalm Baby”, lo scatto del 1972 che mostra una bambina nuda in fuga dall’incendio di Trang Bang, simbolo della crudeltà della guerra in Vietnam. Il fotografo dell’Associated Press, Nick Ut, vinse il Pulitzer per quell’immagine. Ma il documentario “The Stringer” del regista vietnamita-americano Bao Nguyen, appena acquistato da Netflix, mette tutto in discussione.

Secondo il film, presentato al Sundance Film Festival a gennaio, la foto sarebbe stata scattata invece da Nguyen Thanh Nghe, un freelance poco noto che quel giorno era lì come autista di una troupe NBC. La tesi si basa su testimonianze raccolte dal giornalista Gary Knight e su una dichiarazione di Carl Robinson, ex photo editor della AP a Saigon: “Ut non ha scattato quella foto”, avrebbe detto.

Una verità che sfugge tra accuse e contenziosi

Nick Ut e l’Associated Press hanno negato con decisione ogni accusa, confermando la paternità dello scatto e annunciando azioni legali contro i produttori del documentario. “So perfettamente cosa ho fatto quel giorno”, ha detto Ut in una nota dopo l’uscita del film. Ma le testimonianze raccolte da Knight, racconti rimasti a lungo nel silenzio, vanno in un’altra direzione.

Bao Nguyen, in un’intervista a Axios, ha ammesso le sue perplessità iniziali: “Nick Ut è un eroe nella nostra comunità”, ha detto il regista. “Ma sentivo il dovere di scavare più a fondo e capire cosa fosse veramente successo”. Solo così ha deciso di portare avanti il progetto, consapevole delle polemiche che avrebbe scatenato.

Memoria fragile, tra ricordi sbiaditi e verità complicate

Le storie dell’archivio di Rockoff e della foto di Trang Bang raccontano quanto sia fragile la memoria storica, soprattutto quando si intreccia con vite segnate dalla guerra. In Florida, l’ex moglie di Rockoff continua a cercare risposte sulla sorte di quelle immagini che hanno segnato un’epoca. Nel frattempo, grazie a Netflix, il dibattito sull’identità dell’autore di “Napalm Baby” sta per arrivare a milioni di spettatori in tutto il mondo.

Tra ricordi confusi e versioni contrastanti, resta un fatto: quelle fotografie – che siano di Rockoff, Ut o Nghe – continuano a farci riflettere. E a ricordarci che la verità, spesso, è più complessa di un singolo scatto.