Scopri come il cervello combatte naturalmente le placche dell’Alzheimer

Scopri come il cervello combatte naturalmente le placche dell'Alzheimer

Scopri come il cervello combatte naturalmente le placche dell'Alzheimer

Giada Liguori

Novembre 24, 2025

Houston, 24 novembre 2025 – Nel labirinto del cervello umano, una nuova speranza contro l’Alzheimer arriva da un tipo di cellula finora poco considerato: gli astrociti. A suggerirlo è uno studio pubblicato su Nature Neuroscience e firmato dal team del Baylor College of Medicine di Houston. Queste cellule a forma di stella, spesso viste come semplici “aiutanti” dei neuroni, potrebbero invece diventare un’arma naturale per combattere l’accumulo delle placche tossiche tipiche della malattia. I risultati, ottenuti su modelli murini, aprono la strada a nuove strategie terapeutiche, puntando sulla capacità degli astrociti di “pulire” il cervello e rallentare il declino delle funzioni cognitive.

Astrociti, i guardiani silenziosi del cervello

Gli astrociti devono il loro nome alla forma che ricordano una stella. Sono cellule gliali che, per lungo tempo, sono state considerate di secondo piano rispetto ai neuroni. Ma oggi, grazie allo studio guidato da Benjamin Deneen, emerge un quadro diverso. Se attivati nel modo giusto, gli astrociti possono rimuovere le placche amiloidi che si accumulano nel cervello durante l’Alzheimer. Un dettaglio che potrebbe rivoluzionare l’approccio alla malattia.

Sox9, la proteina che fa la differenza

Il gruppo di ricerca texano si è concentrato su una proteina chiave: la Sox9, che regola molti geni all’interno degli astrociti. Manipolando geneticamente topi con Alzheimer, i ricercatori hanno variato la quantità di Sox9 per vedere cosa succedeva alle cellule cerebrali. Il risultato è stato chiaro: meno Sox9 significava più placche e un declino cognitivo più veloce. Al contrario, un aumento della proteina aiutava gli astrociti a liberarsi delle placche e a mantenere intatte le capacità cognitive degli animali.

“Potenziare l’attività degli astrociti fa davvero la differenza”, ha spiegato Deneen, ricordando che finora i trattamenti si sono concentrati soprattutto sui neuroni o sul bloccare direttamente la formazione delle placche. “Il nostro studio mostra che valorizzare la naturale capacità degli astrociti di ripulire il cervello è altrettanto importante”, ha aggiunto.

Un nuovo modo di combattere l’Alzheimer

La ricerca, nata nei laboratori del Baylor College e pubblicata il 18 novembre, propone una via diversa rispetto agli approcci tradizionali. Fino a oggi, farmaci e terapie hanno puntato soprattutto a ridurre la formazione o a sciogliere direttamente le placche amiloidi. Qui, invece, si apre un nuovo fronte: stimolare le cellule di supporto del cervello, gli astrociti, per farle lavorare contro la malattia.

I dati raccolti mostrano che aumentare la Sox9 negli astrociti non solo ha limitato l’accumulo delle placche nei topi, ma ha anche permesso loro di mantenere una buona capacità cognitiva nei test. Se questi risultati verranno confermati nell’uomo, potrebbe cambiare radicalmente il modo di affrontare l’Alzheimer.

Cosa resta da fare

Gli autori ricordano che si tratta di risultati preliminari, ottenuti su modelli animali. “Siamo ancora lontani dall’applicazione clinica”, ha ammesso Deneen durante una conferenza stampa a Houston. Ma questo lavoro apre la strada a ricerche future, con l’obiettivo di sviluppare farmaci o terapie geniche capaci di stimolare gli astrociti anche nel cervello umano.

Al momento, non ci sono prove certe che questa strategia funzioni nei pazienti. Gli scienziati invitano quindi alla prudenza: servono altri studi per capire se attivare gli astrociti possa davvero portare benefici concreti a chi soffre di Alzheimer.

Alzheimer, una battaglia ancora aperta

In Italia, l’Alzheimer colpisce circa 600 mila persone, secondo l’ISS. Scoprire il ruolo centrale degli astrociti nella rimozione delle placche tossiche è un passo avanti importante per capire come funziona la malattia. Ma come spesso accade nella scienza, ogni risposta apre nuove domande: quali altri fattori influenzano l’attività degli astrociti? E come intervenire senza rischiare effetti collaterali?

Per ora, la comunità scientifica segue con attenzione i risultati arrivati dal Texas. Solo quando ci saranno conferme anche negli studi clinici si potrà davvero parlare di svolta nella cura dell’Alzheimer. Nel frattempo, gli astrociti escono dall’ombra: da semplici comparse a possibili protagonisti nella difesa del nostro cervello.