Casal di Principe, 25 novembre 2025 – Vanessa M., 42 anni, è riuscita a sfuggire al femminicidio dopo due decenni di violenze in famiglia. Oggi vive a Casal di Principe, in provincia di Caserta, dove lavora in un laboratorio di sartoria ricavato da un ex bunker sequestrato alla camorra. La sua storia, segnata da minacce e abusi, è diventata un simbolo di speranza e riscatto per tante donne che ancora lottano per uscire da situazioni simili.
Vent’anni di terrore e la fuga decisiva
Per Vanessa, la notte in cui è scappata resta un momento che divide la vita in “prima” e “dopo”. “Guardavo i miei figli che dormivano, sentivo il silenzio: niente calci, urla o sangue. Finalmente eravamo salvi”, racconta. È dovuta scappare con i suoi tre bambini, nascosta in un’auto del centro antiviolenza. “Fuori dal finestrino vedevo il futuro, dietro di noi la prigione in cui eravamo rinchiusi”, ricorda. Il marito, oggi con il braccialetto elettronico, è ancora libero. Ma l’angoscia non se ne va: “La sua presenza cattiva è sempre lì, pronta a tornare”.
Un passato fatto di sopraffazione
Vanessa e il suo ex marito vengono da un piccolo paese alla periferia di Napoli. “Un posto duro, degradato, dove la violenza maschile è purtroppo la norma”, spiega. Si erano conosciuti quando lei aveva 17 anni, lui 24. “Era bello, mi corteggiava. Aveva precedenti, ma in quel quartiere era quasi normale”. Dopo pochi mesi lui finisce in carcere per sette anni. Nel 2009 esce, l’anno dopo nasce il loro primo figlio e iniziano le violenze.
“Mi tirava per i capelli, mi lasciava fuori casa per giorni, non mi faceva vedere i bambini”, racconta Vanessa. “Era una tortura quotidiana”. Racconta di un ciclo senza fine di abusi fisici e psicologici. Eppure, dopo ogni aggressione, lui cambiava: “Diventava quasi un angelo. E io pensavo che fosse finita”.
Denunciare per rinascere
Nel 2019 Vanessa trova il coraggio di denunciare. “Sembrava essersi calmato, così ho ritirato la denuncia e ci siamo sposati. Pensavo di non avere altra scelta”. Nel frattempo era nato il terzo figlio. Ma tutto precipita nell’autunno 2023: “Nei suoi occhi ho visto la volontà di uccidermi”. Sono gli educatori del doposcuola dei figli a indirizzarla verso la Cooperativa Eva, un centro antiviolenza locale.
“Ricordo la voce della presidente: ‘C’è una stanza libera’. Ancora oggi mi emoziono”, confida Vanessa. Da lì parte un percorso di aiuto psicologico ed economico che le permette di ricostruirsi. “Lavoro sodo, ma la nostra serenità vale ogni fatica”.
Una nuova vita costruita sulla sicurezza
Oggi Vanessa cuce vestiti in un laboratorio nato in un edificio che un tempo era una roccaforte della camorra. Un luogo simbolo di rinascita, dove si sente il peso e la speranza del cambiamento. “Ho ottenuto la separazione, so difendermi e sono sempre in contatto con le forze dell’ordine”, spiega. I figli sono con lei: “Siamo scappati con solo quello che avevamo addosso, ma ora siamo liberi”.
Il marito ha provato più volte a rintracciarli. “Come un lupo che ha perso la preda”, dice Vanessa senza mezzi termini. Eppure oggi si sente una sopravvissuta: “Sono uscita da quell’inferno capendo che subire violenza non è normale”.
Un messaggio di forza per chi ha paura
La storia di Vanessa non è un caso isolato: secondo i dati Istat, nel 2024 in Italia si sono registrati oltre 120 femminicidi. “Se ce l’ho fatta io, ce la può fare chiunque”, dice con voce ferma. Il suo cammino, dalla paura alla libertà, è passato attraverso il sostegno dei centri antiviolenza e delle istituzioni locali.
“Quando vivi nel terrore, l’unico obiettivo è sopravvivere”, conclude Vanessa. Oggi però guarda avanti: “Ho conosciuto la felicità quando ho aperto la porta della casa che sono riuscita ad affittare per me e i miei figli: noi quattro, finalmente in pace”. Una storia che lascia il segno e ci ricorda di non voltare mai lo sguardo davanti alla violenza sulle donne.
