Parigi, 29 novembre 2025 – Vincent Bolloré, il finanziere bretone tra i protagonisti dell’industria francese, per ora può tirare un sospiro di sollievo: non è obbligato a lanciare un’offerta pubblica d’acquisto (opa) su Vivendi. La decisione arriva dopo che la Cassazione francese ha chiesto alla Corte d’Appello di rivedere la sentenza di aprile, che aveva riconosciuto a Bolloré un controllo effettivo sulla società. Così, il futuro di uno dei principali gruppi media europei resta in sospeso, in attesa di nuovi sviluppi giudiziari.
Cassazione: si torna in aula per decidere sull’opa Vivendi
Secondo quanto riportato da Bloomberg, la Cassazione ha stabilito che la Corte d’Appello deve tornare a valutare se Bolloré abbia davvero esercitato un’influenza decisiva su Vivendi. Al centro della questione c’è la cosiddetta “considerevole autorità” che il finanziere avrebbe sulle assemblee degli azionisti. Ma la Suprema Corte è chiara: il controllo di fatto si può riconoscere solo se Bolloré ha avuto, direttamente o indirettamente, almeno la maggioranza relativa dei voti per un periodo significativo e se ha potuto orientare concretamente le decisioni in assemblea.
La Corte d’Appello, che aveva già visto in Bolloré una posizione dominante, dovrà ora attenersi a criteri più rigorosi. Serve più di qualche sospetto o valutazione generica: vogliono prove solide e continuative del controllo esercitato. La partita resta quindi aperta.
L’Amf resta alla finestra: nessuna decisione sull’opa prima della nuova sentenza
Intanto, la Consob francese (Amf), che vigila sui mercati finanziari, ha annunciato che nei prossimi giorni esaminerà la sentenza della Cassazione. Ma ha già fatto sapere che non prenderà nessuna decisione sull’eventuale opa obbligatoria su Vivendi prima che la Corte d’Appello si esprima di nuovo.
Questo blocco significa che, almeno per il momento, Bolloré non rischia di dover lanciare una costosa offerta pubblica d’acquisto. Una situazione di stallo che tiene in sospeso anche le mosse degli altri azionisti e degli operatori di mercato interessati al futuro del gruppo.
Il nodo azionisti di minoranza e la scissione di Vivendi
Tutto nasce dalle proteste di alcuni azionisti di minoranza, guidati dal fondo attivista Ciam. Secondo loro, la scissione prevista per fine 2024 – con la nascita di quattro società distinte: Vivendi e Hachette a Parigi, Canal+ a Londra e Havas ad Amsterdam – avrebbe avvantaggiato Bolloré a scapito dei piccoli soci.
La trasformazione di Vivendi in una pura holding di partecipazioni, dopo lo scorporo delle attività operative principali, è stata vista da Ciam come un modo per rafforzare il controllo del finanziere bretone. “Abbiamo chiesto trasparenza e tutela per tutti gli azionisti”, ha spiegato un portavoce del fondo. Secondo la loro versione, la nuova struttura avrebbe abbassato il valore delle quote dei soci di minoranza, mentre Bolloré avrebbe consolidato la sua posizione senza dover lanciare un’opa.
Cosa succederà ora? Tutti gli occhi sulla Corte d’Appello e l’Amf
Nei prossimi mesi, l’attenzione sarà tutta sulle decisioni della Corte d’Appello e sulle mosse dell’Amf. Gli analisti sottolineano che la vicenda ha già inciso sul titolo Vivendi in Borsa: nelle ultime settimane il valore delle azioni è stato molto volatile, segno dell’incertezza che pesa sul futuro del gruppo.
Resta da vedere se la nuova valutazione della Corte confermerà il controllo di fatto di Bolloré o se darà ragione agli azionisti di minoranza. Di certo, il destino di uno dei principali gruppi media europei passerà anche da questa sfida giudiziaria ancora aperta.
