Dopo il carcere per l’omicidio della madre, accusa il commercialista di avergli rubato 350mila euro

Dopo il carcere per l'omicidio della madre, accusa il commercialista di avergli rubato 350mila euro

Dopo il carcere per l'omicidio della madre, accusa il commercialista di avergli rubato 350mila euro

Matteo Rigamonti

Novembre 30, 2025

Genova, 30 novembre 2025 – Stefano Diamante, oggi cinquantenne, è tornato in tribunale, ma stavolta non come imputato. Dopo aver scontato una lunga pena per l’omicidio della madre nel 1999, ha denunciato il suo ex tutore legale, un commercialista genovese, accusandolo di avergli sottratto 350mila euro. La vicenda, che si muove tra la Procura e la Guardia di Finanza, riporta sotto i riflettori una storia personale già segnata da eventi drammatici.

Denuncia choc e indagine aperta

Gli atti depositati in Procura raccontano che Diamante ha formalizzato la denuncia contro il commercialista che lo aveva seguito durante gli anni in carcere e subito dopo la scarcerazione. L’uomo, sospeso dall’Ordine dei commercialisti e degli esperti contabili per una “segnalazione esterna”, aveva accesso ai conti correnti dell’ex detenuto come suo tutore legale. “Mi sono accorto che mancavano dei soldi solo quando ho ricominciato a guardare bene la mia situazione finanziaria”, ha spiegato Diamante agli investigatori. La cifra contestata – 350mila euro – rappresenta quasi tutto il patrimonio ereditato dal padre.

La Procura di Genova ha aperto un fascicolo per appropriazione indebita. Toccherà alla Guardia di Finanza ricostruire i movimenti bancari e capire se il commercialista ha davvero tradito la fiducia. Finora, lui non ha rilasciato dichiarazioni. “Aspettiamo che la magistratura faccia chiarezza”, ha detto soltanto il suo avvocato.

Un’eredità che riapre vecchie ferite

Il denaro al centro della disputa proviene in gran parte dall’eredità del padre di Diamante, morto nel 2011. Dopo anni di rapporti difficili, padre e figlio avevano provato a ricucire il loro legame. “Si erano riavvicinati, sembrava che Stefano volesse davvero ricominciare”, racconta un conoscente che preferisce restare anonimo. Ed è proprio questo a rendere la storia ancora più delicata: perdere quel patrimonio potrebbe far riaffiorare ferite mai del tutto chiuse.

Il delitto del ’99 e la lunga detenzione

Tutto inizia il 22 ottobre 1999. Stefano Diamante aveva 24 anni e viveva con la madre, Silvana Petrucci, preside di una scuola media. Quella sera, tornando a casa, trovò sul comodino un regalo per una laurea mai presa: aveva mentito sui suoi studi universitari, superando solo sette esami. In un impeto violento colpì la madre con un martello, uccidendola. All’inizio cercò di far credere che fosse stata una rapina, ma poco dopo si consegnò ai carabinieri.

Il processo fu complesso. Nel marzo 2001, in primo grado, fu assolto per vizio totale di mente: i giudici lo ritennero incapace di intendere e volere. Ma la Corte d’Appello di Genova ribaltò tutto nel gennaio 2002, condannandolo a trent’anni. La Cassazione confermò nel 2003. Durante gli anni in carcere, in Piemonte, ottenne benefici come semilibertà e affidamento in prova grazie al buon comportamento.

Una vita nuova tra lavoro e tribunali

Oggi Diamante vive a Genova e lavora nella ristorazione. Chi lo conosce lo descrive come una persona riservata, che cerca di costruirsi una vita lontana dal clamore del passato. Ma il rapporto con la giustizia lo segue ancora. Solo che stavolta è dalla parte della presunta vittima.

“Non pensavo di dovermi difendere di nuovo”, avrebbe confidato ad alcuni amici. La palla ora è agli investigatori: spetta a loro capire se il tutore ha davvero approfittato di lui o se si tratta solo di un equivoco.

Intanto, la storia di Stefano Diamante resta sospesa tra un passato segnato da errori gravi e il tentativo — difficile — di ricominciare da capo.