Teheran, 2 dicembre 2025 – Jafar Panahi, il regista iraniano che ha conquistato la Palma d’Oro a Cannes, è stato condannato in contumacia a un anno di carcere e a due anni di divieto di espatrio con l’accusa di “attività di propaganda” contro lo Stato. La sentenza, arrivata da un tribunale di Teheran nei giorni scorsi, è stata resa nota dal suo avvocato, Mostafa Nili, che ha già annunciato l’intenzione di fare ricorso. Panahi, 65 anni, si trova attualmente all’estero e rischia di non poter più tornare in Iran.
La condanna e le accuse: il punto sulla propaganda
Secondo quanto riferito da Nili all’agenzia AFP, oltre alla pena detentiva, Panahi non potrà aderire a nessun gruppo politico o sociale. Le accuse parlano di “attività di propaganda contro lo Stato”, ma non sono stati forniti dettagli precisi sulle azioni contestate. Il regista non era presente in tribunale quando è arrivata la sentenza. Da settimane si trova fuori dal Paese, noto per il suo impegno civile e per le posizioni critiche verso il regime.
Un successo internazionale che non ferma la repressione
Panahi ha vinto la Palma d’Oro al Festival di Cannes 2025 con “Un semplice incidente”, un film che racconta la storia di cinque ex detenuti divisi tra vendetta e perdono nei confronti di un uomo che credono fosse il loro carceriere. Il film ha raccolto applausi dalla critica mondiale ed è stato scelto dalla Francia come candidato ufficiale agli Oscar per il Miglior Film Internazionale. Solo poche settimane fa, Panahi lo ha presentato negli Stati Uniti, tra Los Angeles, New York e Telluride, dove ha ricevuto grande attenzione dal pubblico americano.
Un passato segnato da divieti e repressione
Non è la prima volta che Panahi finisce nei guai con la giustizia iraniana. Nel 2010, dopo aver sostenuto le proteste antigovernative e aver realizzato film critici verso il regime, era stato accusato di “propaganda contro il sistema” e condannato a sei anni di carcere. Ne ha scontati solo due mesi, poi è stato rilasciato su cauzione. Da allora gli è stato vietato per vent’anni di girare film e lasciare il Paese. Ma Panahi ha continuato a lottare: nel 2011 ha inviato di nascosto a Cannes il documentario “Questo non è un film”, nascosto in una chiavetta USB dentro una torta.
Cinema sotto controllo: la stretta sugli artisti iraniani
La storia di Panahi fa parte di un quadro più ampio di sorveglianza e repressione contro gli artisti in Iran. Registi, attori e giornalisti sono sempre sotto controllo e le autorità passano al setaccio i loro lavori per individuare qualsiasi critica al regime. Solo l’anno scorso, Mohammad Rasoulof, un altro grande nome del cinema iraniano, ha lasciato il Paese in fretta per evitare una condanna al carcere con l’accusa di “collusione contro la sicurezza nazionale”.
Reazioni nel mondo e cosa potrebbe accadere
La notizia della condanna ha suscitato reazioni nel mondo del cinema e tra le organizzazioni per i diritti umani. “È un attacco alla libertà artistica”, ha detto un portavoce di Amnesty International. In Iran, invece, i media ufficiali hanno celebrato la vittoria di Panahi a Cannes pubblicando una sua foto, senza però parlare dei problemi giudiziari. Il regista, che aveva già vinto a Cannes nel 1995 con “Il palloncino bianco”, resta una voce scomoda per il regime.
Adesso si attende di vedere se il ricorso di Nili potrà cambiare qualcosa per Panahi. Nel frattempo, la sua assenza forzata dall’Iran rischia di diventare il simbolo delle difficoltà che affrontano gli artisti indipendenti nel Paese.
